Somalia, i pirati liberano la “Savina Caylyn”

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«Sono stordita dalla gioia. Mi sembra un sogno ma è tutto vero: Giuseppe e gli altri sono liberi. Tornano finalmente a casa». Nunzia Nappa, moglie del comandante Giuseppe Lubrano Lavadera, trattiene a stento le lacrime. Le urla, gli applausi avvolgono la casa per tanto tempo schiacciata dal silenzio e dalla tensione. Procida, l’isola dei marinai, esplode dalla felicità . Ma l’euforia, assieme alle lacrime liberatorie di un’ansia durata quasi 11 mesi, si allarga a Sorrento, a Gaeta, fino a Trieste. È finita: il sequestro più lungo e difficile della marineria italiana si conclude alle 14 di un mercoledì gelido e assolato. La petroliera “Savina Caylyn” degli armatori napoletani Fratelli D’Amato, è stata liberata nella baia di Harar Dhere davanti alle coste nord della Somalia. Era stata attaccata da cinque pirati a bordo di un barchino l’8 febbraio scorso mentre navigava a sud dell’isola yemenita di Socotra. Lunga 226 metri, con una stazza di 105 mila tonnellate, la nave era partita dal terminal petrolifero di Marsa Bashayer, in Sudan, diretta al porto di Pasir Gudang, in Malaysia. Con il comandante Giuseppe Lubrano Lavadera, tornano a vivere il terzo ufficiale di coperta Crescenzo Guardascione, entrambi di Procida; Gianmaria Cesaro, allievo di coperta, di Sorrento; Antonio Verrecchia, direttore di macchina, di Gaeta; Eugenio Bon, primo ufficiale di coperta, di Trieste.
Ci sono voluti nove mesi di estenuanti trattative. Con momenti di grande sconforto e sprazzi di euforia. Manifestazioni, appelli disperati alla stampa e in tv, mobilitazione delle famiglie, sit-in sotto la sede della compagnia armatoriale. E poi improvvisi silenzi, con la Farnesina che esortava alla discrezione e i mediatori dei Fratelli D’Amato che lavoravano alla trattativa. Solo lunedì sera è stato raggiunto l’accordo definitivo: 11 milioni e mezzo di dollari in cambio di 17 marinai, 12 indiani e 5 italiani.
La notizia del pagamento di un riscatto è stata data dai pirati. Il capo, un certo Ilyaas, del clan Murar Shade, legato alla grande famiglia somala degli Hawiye, ha raccontato alla Reuters le ultime fasi prima della liberazione. La somma pattuita è stata consegnata in due tempi: un primo bussolotto di plastica dura con 8 milioni e mezzo di dollari è stato lanciato da un elicottero sulla coperta della nave; tre ore dopo è stato paracadutato un secondo contenitore con gli altri tre milioni di dollari. I pirati, secondo informazioni da noi raccolte, avevano inizialmente chiesto 24 milioni di dollari. La cifra è scesa solo negli ultimi mesi. L’individuazione di un chiaro e attendibile referente ha fatto perdere molto tempo. Ma è stata la presenza dei 17 marinai indiani a rendere più difficile il negoziato. I pirati puntavano ad uno scambio tra prigionieri. La marina militare di Delhi ha in mano 89 bucanieri somali. Le autorità  indiane si sono opposte: di qui gli undici mesi di snervante attesa e la doppia fase della consegna del riscatto.
La Savina Caylyn è adesso in navigazione verso l’Oman. Deve raggiungere acque sicure, c’è sempre il rischio di nuovi assalti. «Grande soddisfazione» da parte del presidente Giorgio Napolitano. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi assicura che «non è stato pagato alcun riscatto da parte dello Stato italiano, né è stato tentato un blitz». Ma la gioia e l’entusiasmo dei parenti e di quattro città  sono più forti di qualsiasi dichiarazione. Lacrime e lunghi abbracci, sotto una pioggia di fuochi artificiali.


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