Confindustria-Cgil, scintille sul lavoro

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ROMA – Scintille pre-trattativa tra il leader della Cgil, Susanna Camusso, e la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. L’una dice che la crisi è stata causata dalla «rapacità » di un capitalismo ormai finanziarizzato; l’altra risponde che questo di certo non vale per l’Italia dove c’è un’industria manifatturiera ancora molto forte. Due letture della recessione alla vigilia del negoziato sul mercato del lavoro e gli ammortizzatori che comincerà  domani a Palazzo Chigi. L’inizio di una delicatissima partita in cui non è ancora chiaro se l’obiettivo sia lo stesso: gli industriali chiedono di non abbandonare i meccanismi di flessibilità  per le assunzioni (combattendo solo gli abusi) ma anche di non avere più tabù nell’affrontare il tema dei licenziamenti protetti dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; i sindacati puntano a un piano per rilanciare il lavoro, soprattutto delle fasce più deboli, giovani, donne, lavoratori over 50 espulsi dalle aziende, e non intendono discutere di modifiche all’articolo 18. 
Camusso e Marcegaglia erano ieri a Bergamo per l’annuale convegno della Fondazione Italcementi. Per la prima volta di fronte da quando si è insediato il governo Monti. Il grande fair play non ha nascosto le differenze nelle strategie. E spetterà  proprio al governo, in particolare al ministro del Lavoro Elsa Fornero, trovare un punto di incontro. Certo non sembrano possibili forzature, dopo quella sulle pensioni. L’ha detto anche ieri la Camusso: «Sul mercato del lavoro, vorrei che si evitasse ciò che si è costruito sulle pensioni: l’idea, cioè, che basti fare in fretta per via dei tanti problemi aperti. Sul lavoro sarà  bene fare con attenzione le riforme necessarie che consentano di governare l’attuale emergenza davvero molto complicata». Emergenza che sta nei numeri: oltre 200 aziende in grandi difficoltà  con già  300 mila posti a rischio mentre siamo solo all’inizio della nuova recessione.
Cifre che sostengono l’analisi della Camusso: «Siamo di fronte a una crisi del capitalismo causata dalla rapacità  del capitalismo stesso, che ha investito in finanza anziché sul lavoro e sulla produzione. La colpa non è dei lavoratori che possono contare sull’articolo 18. È surreale pensare che la crisi sia figlia dei lavoratori». Non è scardinando diritti e tutele, insomma, che si può pensare di rilanciare i tassi di crescita del nostro Prodotto nazionale. Ragionamento che la Marcegaglia evita di contrastare, mentre sostiene che «il capitalismo rapace non sembra alla base dei problemi», e poi apre un altro filone, quello decisivo per la prossima trattativa: «È evidente – dice – che se vogliamo affrontare (e noi siamo d’accordo) alcuni temi sull’abuso della flessibilità  in entrata, dall’altra parte bisogna ragionare su una maggiore mobilità  in uscita. Noi non vogliamo licenziare i nostri lavoratori. C’è una sola cosa che vogliamo fare: vogliamo poter gestire le ristrutturazioni. Dunque se c’è un prodotto che non va più bene vogliamo poter chiudere una linea produttiva e aprirne una nuova». Questione pacifica, va detto, e ovviamente possibile già  adesso. Più ambigua, invece, la frase successiva della Marcegaglia: «Noi vogliamo poter evitare situazioni dove ci sono persone che non lavorano e su questo un sindacato moderno non può che essere d’accordo». La sensazione è che la questione dell’articolo 18 – per quanto «né esclusiva né preminente», come ha detto il premier Mario Monti – condizionerà  fin dall’inizio il negoziato. «Speriamo – ha commentato ieri il segretario della Uil, Luigi Angeletti – che il governo non ci ascolti per cortesia e poi decida senza tener conto delle nostre indicazioni».


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