In arrivo il nuovo trattato

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Crescita del 3% nel 2011, deficit pubblico inferiore a 27 miliardi, pari cioè all’1% del pil, disoccupazione alta ma comunque al livello più basso degli ultimi vent’anni. Sono i dati della Germania, pubblicati ieri. Di fronte, la Francia – anche se il governo vuole credere che la minaccia di perdere la notazione AAA si stia allontanando – si lacera sull’ipotesi di una nuova tassa, l’Iva sociale (imposta sui prodotti di importazione dai paesi a bassi salari, per poter diminuire i contributi padronali del made in France). Per non parlare dell’Italia e dei paesi periferici, Grecia in testa, che resta minacciata di fallimento ed è raggiunta ormai dall’Ungheria. In questo contesto di progressiva distanza tra le economie europee, è arrivata la terza versione della bozza provvisoria del nuovo trattato sull’equilibrio di bilancio, fortemente voluto da Berlino e digerito obtorto collo da Parigi. 
Il testo ancora provvisorio, inviato martedì sera ai paesi membri dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, contiene qualche correzione rispetto alle prime versioni: è stata inserita una clausola che permette un’eccezione alla regola di equilibrio, ma solo nel caso di «contingenza difficile» (recessione) o «altro avvenimento inabituale». Il nuovo testo afferma che «uno scarto temporaneo rispetto all’obiettivo di medio termine» sarà  autorizzato in questi due casi, quando si verificherà  «un impatto maggiore sulla posizione finanziaria del governo o durante periodi di rallentamento economico severo della zona euro, della Ue o nella parte implicata». 
Secondo l’ultima bozza, per entrare in vigore il nuovo trattato dovrà  essere ratificato da almeno 12 paesi della zona euro (si era parlato prima di 9 poi di 15). Dovrà  essere sottomesso al Consiglio europeo del 30 gennaio, per poter avviare le ratifiche (che prenderanno più tempo di quanto si dica) all’inizio di marzo. L’entrata in vigore del trattato sul fiscal compact è prevista per il 1° gennaio 2013, ma i parametri diventeranno operativi solo un anno dopo, all’inizio del 2014, lasciando un po’ di respiro nella grave contingenza attuale. Una porta socchiusa viene lasciata per la Gran Bretagna, che aveva rifiutato a dicembre l’idea stessa di questo trattato: è scritto che vi potranno aderire tutti i paesi che lo richiedono, sperando in un ripensamento di Londra. Il trattato, che è intergovernativo, dovrebbe restare in vigore per 5 anni, come richiesto dalla Commissione, poi venire inserito nella costruzione legale della Ue. Viene anche ridimensionato il ruolo della Corte di giustizia, di fronte alla quale potranno venire trascinati i paesi che non hanno inserito nella Costituzione o «nella legislazione nazionale» l’obbligo di pareggio di bilancio. La costituzionalizzazione della famosa «regola aurea» è stata attenuata, anche su richiesta della presidenza a rotazione del Consiglio, che ora è nelle mani della Danimarca. Il nuovo governo (minoritario) di centro-sinistra ha fatto valere che sarà  difficile per Copenhagen inscrivere la regola aurea nella Costituzione, che in Danimarca non è stata toccata da 60 anni. Secondo la ministra dell’economia, Margrethe Vestager, il testo è troppo rigido sul deficit pubblico strutturale (che esclude gli effetti congiunturali e il servizio del debito) fissato allo 0,5% del pil. Per i danesi ci sono difficoltà  anche sul modo in cui è calcolato, perché intendono conservare dei margini di manovra per non essere costretti a distruggere il welfare. Una modifica richiesta dalla Germania è la soppressione di qualsiasi riferimento alla sola ipotesi di Eurobond.
Intanto, la procedura per deficit eccessivo, già  in vigore, potrebbe essere l’arma fatale che la Commissione brandisce per piegare Budapest. Sarebbe la prima volta che questa sanzione viene usata, l’Ungheria potrebbe perdere i fondi strutturali, in un momento in cui i negoziati per ottenere un prestito di 15-20 miliardi da Fmi e Ue sono stati sospesi. La Commissione ha ingiunto a Viktor Orban, il primo ministro ultrareazionario, di ristabilire l’indipendenza della Banca centrale e di fare dei passi indietro sul controllo politico della giustizia. I negoziatori ungheresi devono incontrare il commissario Olli Rehn il 20 gennaio.


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