India, le radio comunitarie hanno bisogno delle donne

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Perché alla base del movimento delle radio comunitarie – emittenti senza scopo di lucro che rispondono ai bisogni comunicativi locali, coinvolgendo i cittadini nella realizzazione dei programmi – c’è la rivendicazione del diritto degli esclusi a prendere parte allo sviluppo delle proprie comunità . Un obiettivo che non si può raggiungere se, ancora una volta, così come tradizionalmente avviene nella sfera domestica, nella politica, nelle discussioni pubbliche e nei media, le voci delle donne restano inascoltate.

Sebbene il ruolo della donna nella comunicazione e nello sviluppo sia ampiamente riconosciuto dalla comunità  internazionale e venga promosso da donatori e organizzazioni locali, la sua realizzazione nella pratica, anche nei progetti di comunicazione per lo sviluppo dallo spirito partecipativo ed egualitario, non è sempre facile. Poiché per far sì che le donne partecipino appieno nel processo comunicativo bisogna agire, attraverso azioni mirate, su ruoli, pregiudizi e relazioni di potere ben radicati.

Nel caso delle radio comunitarie ciò vuol dire, per esempio, non solo inserire un certo numero di donne nello staff e nel comitato di gestione e dare spazio ai pareri delle ascoltatrici, ma anche preoccuparsi di dar voce alla diversità  della categoria “donne”, intervistando sia mamme e casalinghe sia chi ha rotto con la tradizione, accademiche, imprenditrici, attiviste e così via. Vanno sentite anche le opinioni delle caste più basse, delle diversamente abili e delle minoranze sessuali.

Specifiche trasmissioni vanno dedicate alle tematiche femminili, senza però caderenell’errore di limitare il campo d’azione delle reporter ad argomenti rosa e lasciare ai colleghi maschi la politica. Il team va accompagnato in un percorso di riflessione su comportamenti patriarcali e rappresentazioni discriminatorie al fine di rimuovere gli stereotipi dai servizi. Ancora, ogni emittente dovrebbe dotarsi di una politica anti-molestie e fare il possibile affinché le donne si sentano sicure nel tragitto casa-radio, per esempio organizzandosi in gruppi. Inoltre, il palinsesto e gli orari di registrazione vanno pensati tenendo conto delle responsabilità  domestiche e della cura dei figli. Infine, visto che l’analfabetismo digitale è più diffuso nella parte femminile della popolazione, è necessario investire in sessioni formative ad hoc e scegliere le tecnologie più appropriate.

Si tratta di alcune delle raccomandazioni contenute nella politica di genereelaborata dall’Associazione mondiale delle Radio Comunitarie AMARC e adottata da quasi un anno dal Forum indiano, composto da oltre cento membri tra istituzioni e persone fisiche. Sebbene il documento non sia vincolante, è nell’interesse delle stesse radio seguire questi accorgimenti. Infatti, come fa notare Kanchan Malik, professoressa associata alla scuola di Arte e Comunicazione Sarojini Naidu, dell’Università  di Hyderabad, le iniziative di comunicazione partecipativa per lo sviluppo, se vogliono ottenere successo, non possono esimersi dal dare spazio alle prospettive delle donne.

Inoltre, il Forum sta preparando delle linee guida in cui potrebbe essere inserita la raccomandazione di riservare una quota rosa del 50% nello staff di ogni radio comunitaria. «La politica governativa in vigore dal 2006 si limita a prescrivere che metà  dei contenuti sia generato dalla comunità  locale, ma non specifica quale debba essere la composizione di questo gruppo» spiega l’esperta, autrice, insieme a Vinod Pavarala, del libro Other Voices (Sage, 2007).

Resta dunque una responsabilità  delle singole radio assicurarsi che le donne siano adeguatamente coinvolte. «Bisogna insegnare alle più emarginate le competenze per diventare brave produttrici di programmi. Solo così le radio possono facilitare la loro partecipazione nel processo di cambiamento sociale dal basso» continua Malik. «Inoltre – conclude – le realtà  che aderiscono al Forum dovrebbero adottare un codice di condotta che permetta alle donne di utilizzare le radio comunitarie come un mezzo per esprimere appieno le loro potenzialità  di negoziatrici e “manager” dello sviluppo all’interno delle loro comunità ».



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