Karl Marx, arrivano gli inediti “So solo che non sono marxista”

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Qui nella splendida Mitte a un passo da Gendarmenmarkt, la piazza delle cerimonie prussiane e del Kaiser, forse la più bella della capitale. Eccoci al quarto piano della Berlin-Brandenburgische Akademie der Wissenschaften, l’Accademia delle scienze che rivede la sua opera e un volume dopo l’altro ne prepara la pubblicazione completa: 114 tomi, di qui al 2020 e chi sa come allora sarà  il mondo. «Certo lui lo aveva studiato e previsto molto meglio di come ci fu detto dai poteri che lo usarono post mortem», spiega il dottor Gerald Hubmann, responsabile a fianco del professor Manfred Neuhaus del grande lavoro. Ma insomma, di chi stiamo parlando? Di Karl Marx, proprio lui. Qui i suoi scritti, volumi, appunti, epistolari, vengono studiati, riletti in modo critico e pubblicati passo dopo passo. E lui, «il vecchio barbone» come lo chiamarono affettuosi e riverenti generazioni di militanti di sinistra, insieme a Friedrich Engels torna attuale in un’altra luce.
È un tuffo nella storia, quello in Jaegerstrasse 22/23. Un tuffo sereno nella doccia fredda inquietante della crisi del mondo globale. I volumi, rieditati in versione critica e scientifica, uno dopo l’altro si accatastano nelle stanze degli accademici. Mega, come “grande” in greco antico, si chiama il progetto dell’opera completa di Marx ed Engels rivista in modo critico. Mega in tedesco è una sigla: Marx-Engels GesamtAusgabe. Frugando nelle carte consunte dal tempo si scoprono cose che i contemporanei di Marx vollero ignorare, e che il marxismo-leninismo ufficiale preferì censurare. Le Tesi su Feuerbach, spiega Hubmann, non furono all’inizio parte de L’ideologia tedesca. Vi furono inserite solo dopo, e il tutto, secondo Marx, era solo una collezione di appunti «destinata ai topi». Appunti di agitazione politica consegnati ai manoscritti suoi dell’epoca, tutti a penna con correzioni e cancellature, i disegnini di volti spesso femminili magari schizzati da Engels accanto. Slogan politici trasformati in ortodossia nell’Urss. Insomma: la teoria secondo cui l’esistenza materiale determina la coscienza, base del materialismo storico, spiega Hubmann, era un’idea in cui Marx non credeva. Guardi qui, dice mostrando un volume riedito, Marx disse: «Tutto quello che so è che non sono un marxista».
«Un volume dopo l’altro», spiega ancora Hubmann, «noi curatori di Mega scopriamo un altro Marx. Non un “cane morto”, non un ideologo del passato, bensì un politologo e scienziato attuale. Un uomo che continuò a ricercare con curiosità  fino alla vecchiaia e seppe vedere e prevedere le radici della crisi di oggi. Studiò nei suoi tardi anni l’evoluzione del capitalismo, da capitalismo industriale a sistema sempre più basato sul credito e sulla finanza e quindi esposto alle sue oscillazioni e alle sue incertezze», a crisi ingovernabili a danno di tutti. La svolta, la sua fase dopo Il Capitale, cominciò con lo studio dell’economia americana: i grandi spazi, l’esigenza di costruire in fretta ferrovie e altre infrastrutture, la crescente fame di materie prime, il boom dell’agricoltura, spiegano gli accademici, imposero la crescente dipendenza dell’economia reale dal credito: serviva sempre più denaro. Mega, II/13: ecco le analisi di Marx anziano sui nuovi processi di circolazione del capitale, sul suo sviluppo col turbo come sistema sempre più finanziario. Sembra di leggere pagine sulla crisi dei nostri giorni, invece sono vecchie di un secolo e mezzo. È un caso, un accidente della storia, se il progetto Mega ha potuto vedere la luce. Opere, carteggi, epistolario e appunti di Marx ed Engels erano in mano all’archivio della Spd. Dopo la rivoluzione bolscevica, nacque un fitto lavoro comune di scienziati socialdemocratici tedeschi e del Pcus per sistematizzarle. Parte del materiale fu portata a Mosca, altra parte restò nella vivace Berlino della fragile Repubblica di Weimar. Furono le radici dell’opera completa, ma i drammi di quegli anni le seccarono. La ricerca di quegli scienziati e filosofi cadde troppo presto sotto l’occhio sospettoso della Nkvd, la polizia segreta di Stalin. Al dittatore, racconta Hubmann, non piacque scoprire certe pagine critiche, certi appunti sull’esigenza della libertà  di parola e del libero confronto tra forze politiche e sociali. Meno che mai gli piacque scoprire che Marx ed Engels avevano scritto molto più di Lenin e non teorizzavano un totalitarismo né tantomeno i gulag. Con la brutale svolta autoritaria in Urss gli scienziati marxisti finirono male. A cominciare dal loro capo David Rjazanov, giustiziato per tradimento nel 1938, poco prima del patto Hitler-Stalin. Altri finirono sorvegliati e solo la grande fama li salvò dal plotone d’esecuzione. Fu il caso di Gyà¶rgy Lukà¡cs, il padre ungherese del marxismo critico.
Ma se Mosca piangeva, Berlino non rideva. Venne il ’33, la democrazia di Weimar fu rovesciata da Hitler. Gli archivi della Spd si salvarono per caso: i socialdemocratici, sfidando la Gestapo, li portarono da amici accademici olandesi. «Chi sa perché, ma anni dopo – narra Hubmann – nell’Olanda occupata, Gestapo e polizia collaborazionista non pensarono mai di frugare nei sotterranei dell’accademia di Amsterdam, non scoprirono mai quanto avrebbero volentieri distrutto». Venne il 1945, la disfatta dell’Asse e la Guerra fredda con la Germania divisa. Urss e Ddr ripresero il lavoro di edizione completa dopo la morte di Stalin, ma Breznev lo bloccò: troppi manoscritti critici, troppe pericolose idee di invito al dubbio. Il lavoro fu congelato fino all’89 della caduta del Muro di Berlino. «E per quanto possa sembrare strano», notano i professori di Jaegerstrasse, «se lavoriamo liberi e con rigore scientifico al Mega lo dobbiamo anche a Helmut Kohl, certo non sospetto di simpatie marxiste. Il cancelliere della riunificazione che amava la storia, decise che, magari sottotono, la ricerca su quelle tonnellate di manoscritti che la Ddr aveva chiuso in cantina avrebbe dovuto riprendere nella Germania unita».
Sono passati più di vent’anni da quell’ennesima svolta in cui i manoscritti ingialliti dei due barbuti riuscirono a sopravvivere. Adesso il lavoro continua, diviso tra Berlino, Amsterdam e Mosca. Con l’interesse crescente dei preparatissimi scienziati ufficiali cinesi, che forse vi cercano nuove idee per la futura prima potenza mondiale. Scoprono anche loro un altro Marx. L’uomo che perseguitato quasi ovunque in Europa si guadagnò da vivere come corrispondente del New York Daily Tribune. Rivediamo quelle pagine: narrava come un grande inviato le scosse politiche e sociali o le crisi economiche dell’Europa di allora, persino i primi movimenti operai in Italia o Spagna. Non c’erano le comunicazioni moderne: Marx ed Engels inviavano gli articoli a New York col piroscafo, dovevano scriverli pensando a non farli invecchiare. Jenny Marx, l’amata moglie, teneva la contabilità  d’ogni spedizione. Cominciò anche a conservare i più curiosi, incredibili scritti del marito anziano. Karl aveva rinunciato alla politica, annotava la sua fiducia nel libero dibattito e confronto tra idee e forze politiche. E prese a studiare le scienze: ecco appunti e schizzi perfetti sulla geologia, sulla fisica, sui primi passi della scienza nucleare. 
Ed ecco, infine ma non ultimo, la scoperta forse più affascinante. Marx ed Engels, nell’Europa del capitalismo senza internet né jet di linea, crearono una rete di scambi epistolari internazionali. Con leader operai, con politici, con scienziati, gente d’ogni corrente di pensiero o tendenza: a suo modo, dicono soddisfatti gli accademici di Jaegerstrasse, fu il primo social network. Funzionò per anni. Bentornato, caro vecchio Marx, e scusaci: troppi opposti estremismi del Ventesimo secolo ti avevano tramandato male. Arrivederci al 2020. Forse ci servirai quando chi sa che volto avrà  il capitalismo.


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