L’assedio alla Merkel

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Monti ha due valide ragioni a sostegno delle sue richieste. La prima è che effettivamente lo sforzo compiuto dal Paese è di gran lunga superiore a quello degli altri partner europei e che i conti pubblici italiani risanati non giustificano in termini razionali una così pesante penalizzazione del nostro debito pubblico. La seconda è che, proprio per questi motivi, l’Italia oggi sta pagando il prezzo di una sfiducia dei mercati che non riguarda tanto le nostre capacità  intrinseche di risanare il bilancio, quanto la tenuta complessiva dell’euro e la disponibilità  della Germania a difendere la moneta unica.
È chiaro che chi scommette contro la valuta europea lo fa prendendo di mira gli anelli più deboli dell’Unione monetaria. Ma, se fino a ottobre gli alti tassi italiani riflettevano l’inazione e la scarsa credibilità  del governo Berlusconi, dopo il varo della manovra di dicembre essi rispecchiano soprattutto le esitazioni e le ambiguità  della Germania. Quello che Monti sta andando a spiegare in Europa è che i contribuenti italiani non possono pagare, oltre che per i propri errori passati, anche per i dubbi della cancelliera Merkel e per le sue preoccupazioni elettorali.
Ma in politica, e soprattutto nella politica europea, avere ragione non basta. Occorre anche saperla imporre ai partner. E l’unico vero interlocutore di Monti, oggi, è la cancelliera tedesca. Proprio per questo la strada che da Roma porterà  il presidente del Consiglio mercoledì a Berlino passa per Bruxelles e per Parigi. Se vuole riuscire a strappare la Merkel dalle sue amletiche esitazioni, il Professore ha bisogno che le istituzioni comunitarie e soprattutto Sarkozy cambino il tono e il volume del loro discorso europeo.
Due anni di timide resistenze alle pressioni tedesche e di ancor più timidi messaggi lanciati alla Germania ci hanno condotti sull’orlo dell’abisso. Ora è tempo di mettere le timidezze da parte e di esigere con fermezza che i tedeschi riempiano la loro parte del “patto di Bruxelles”: quando, all’ultimo vertice, la Merkel ottenne di iscrivere in un nuovo trattato le regole del rigore di bilancio in cambio di una promessa ad accettare meccanismi di solidarietà  che mettano il debito europeo al riparo dagli attacchi speculativi.
È ancora presto per dire se Monti sia riuscito nel suo proposito. La «totale identità  di vedute» tra Italia e Francia, di cui ha parlato ieri Sarkozy proprio nel momento in cui l’Italia reclama pubblicamente a gran voce misure di consolidamento della moneta unica, lasciano sperare che il presidente francese, avendo finalmente trovato nell’italiano un alleato di peso e prestigio, metterà  da parte le cautele degli ultimi due anni. Il vertice tripartito di Roma, il 20 gennaio, potrebbe dunque diventare il punto di svolta che consenta all’Europa di accoppiare al rigore di bilancio anche quegli strumenti di difesa della moneta, dagli eurobond al rafforzamento del Fondo ad un diverso ruolo della Bce, che finora la Germania ha ostinatamente negato.
Ma il compito di Monti, già  di per sé non facile, è reso ancora più arduo da un secondo obiettivo europeo che il presidente del Consiglio non può certo trascurare. Nel negoziato che è ripreso ieri a Bruxelles sul testo definitivo del nuovo Trattato sull’unione di bilancio, l’Italia è infatti impegnata a cercare di ammorbidire le condizioni sul ritmo di riduzione del debito e a ritagliare uno spazio di manovra che permetta ai governi misure per stimolare la crescita.
Su entrambi questi fronti, le richieste italiane si scontrano con l’indisponibilità  della Germania. Berlino, proprio grazie ai bassissimi tassi di interesse che la crisi dell’euro le garantisce sia sul debito pubblico sia sul finanziamento delle imprese, non ha troppa difficoltà  né a ridurre il debito né a stimolare la crescita economica. L’Italia ha invece un bisogno vitale di evitare condizioni capestro sul risanamento e di trovare in Europa quel sostegno alla crescita che i conti nazionali non permettono.
Il governo Berlusconi aveva risolto il problema da par suo, ottenendo una ambigua formula sulla considerazione di «fattori rilevanti» nella riduzione del debito che aveva venduto in patria come la garanzia che non saremmo stati costretti a manovre troppo drastiche. Una ennesima operazione di immagine che si è rivelata priva di sostanza: il nuovo Trattato, infatti, per ora non prevede gli sconti che erano stati promessi dal precedente governo.
Monti quindi si trova nella difficile condizione di dover convincere la Merkel a fare concessioni sui termini del Trattato, e allo stesso tempo di esigere dalla Germania che dia il via libera ad un sistema di garanzie congiunte sul debito europeo. In termini negoziali, non è certo una posizione di forza. Ma il presidente del Consiglio sa che l’Italia non è in grado di sopravvivere né ad un Trattato capestro, né ad un prolungarsi dell’instabilità  dell’euro. Nella partita che si giocherà  da qui a marzo deve vincere su entrambi i fronti, pena il tracollo del Paese. Una ipotesi, quella del collasso italiano, che, fortunatamente, fa paura ai nostri partner almeno quanto fa paura al Professore. E questa, in fondo, è forse l’unica vera arma che ha a disposizione per cambiare il corso della storia.


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