L’Africa accusa: giornalisti occidentali razzisti

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A Ouagadougou, in Burkina Faso, è stato di recente proiettato presso il Centro nazionale della stampa Norbert Zongo undocumentario dal titolo “Médias occidentaux et regards racistes sur l’Afrique” (Media occidentali e sguardi razzisti sull’Africa) realizzato dalla giornalista burkinabè Ramata Soré, pluripremiata a livello internazionale per i suoi servizi d’inchiesta.

Prendendo l’avvio dalla coppa del mondo del 2010 in Sudafrica, il film documenta la maniera in cui i media occidentali – tra i primi il New York Times negli Stati Uniti – proiettano la loro visione negativa e i loro pregiudizi sull’Africa. Un continente che presentano da oltre tre secoli in costante deriva e privo di civiltà . Questa la denuncia di Ramata Soré, che sottolinea come questo modo di considerare l’Africa persista ancora nel XXI secolo, benché la culla dell’umanità  abbia ospitato eventi d’importanza internazionale, come la coppa mondiale di calcio che rappresenta un po’ il culmine degli eventi sportivi sulla terra. La riuscita di questo grande incontro è stata riassunta dall’osservazione di un occidentale “scettico”: «persino i delinquenti hanno dato prova di patriottismo», con riferimento al fatto che il Sudafrica è uno dei paesi con il maggior tasso di criminalità  al mondo.

Al termine della proiezione è seguito un dibattito, con la collaborazione della Rete d’iniziative dei giornalisti – Rij del Burkina Faso, cui hanno partecipato – oltre alla giornalista autrice del film – alcuni docenti universitari come Mahamadi Sawadogo, Abdoul Karim Sango e Serges Théophile Balima. Quest’ultimo, in particolare, è un personaggio di rilievo: laureato in lettere e filosofia, hai poi studiato giornalismo a Strasburgo e ha conseguito un dottorato in Scienze dell’informazione e della comunicazione, che attualmente insegna all’Università  di Ouagadougou. Balima in passato è stato anche direttore della tv nazionale burkinabè e ministro dell’Informazione e della cultura.

Nel corso del dibattito tutto il pubblico presente in sala, all’unanimità , ha deplorato la maniera negativa in cui i media occidentali continuano a parlare degli africani. Alcuni ritengono tuttavia che gli africani stessi abbiano la loro parte di responsabilità  in questa rappresentazione poco onorevole di loro. Si è allora delineato uno scenario di responsabilità  a tre livelli. Per prima cosa, si è sostenuto, è compito degli operatori dei media e dei giornalisti correggere il tiro: di fatto, ha osservato Serges Théophile Balima, è prassi dei giornalisti africani utilizzare acriticamente le terminologie occidentali per parlare del proprio paese. I giornalisti nazionali dovrebbero lasciar cadere le espressioni e le qualificazioni in possesso di connotazioni peggiorative, adottando al posto termini più appropriati al contesto africano, in grado di andare oltre le apparenze. Balima si è detto consapevole delle difficoltà  economiche che affliggono i media africani, e non permettono ai giornalisti di viaggiare e visitare altre contrade come invece fanno i giornalisti occidentali.

Da qui emerge il secondo punto: l’appello alle popolazioni africane perché contribuiscano alla vita dei loro media. Riguardo i mezzi finanziari di cui dispongono i giornalisti occidentali, un intervento ha evidenziato che essi hanno la possibilità  di visitare i paesi africani in profondità , raccogliendo informazioni di cui spesso neppure i dirigenti locali e nazionali sono a conoscenza. Si è inoltre fatto notare che gli occidentali parlano male dell’Africa, pur avendo essi stessi “il bello e il brutto”. Secondo Balima, l’occidente fa di tutto per dimostrare che la sua civiltà  è la migliore, nascondendo però le proprie pecche. Spetta dunque alle popolazioni africane sostenere i propri giornalisti, perché anch’essi possano fare viaggi di studio in occidente e raccogliere informazioni che altrimenti non possono trovare diffusione.

Il terzo punto richiama alla responsabilità  i dirigenti africani, che di fatto non investono nei media nazionali. Quando scatta un’emergenza o si verifica un problema, sono subito pronti a rilasciare interviste ai canali dell’informazione internazionale, con grave danno dei media nazionali che sembrano non aver credito ai loro occhi. «Ma sanno costoro come e quanto i dirigenti occidentali investono nei propri organi di stampa e d’informazione?» si domanda Losseni Cissé, giurista del Maep (Mécanisme africain d’évaluation par les pairs). Si tratta di una guerra culturale, sostenuta a livello finanziario e politico, come ha dichiarato Nestorine Sangaré, la ministra della Promozione femminile, in cui i dirigenti africani si gettano ai piedi dell’avversario. «Il punto è sempre lo stesso» ha concluso il docente di diritto Karim Sango, «gli africani devono imparare a mettersi in una posizione che obblighi gli altri a rispettarli».

*Pubblicato su L’Evenement 


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