Larissa Sansour, se la Palestina nasce sulla luna

Loading

Il titolo è un modo di dire arabo che significa festa di matrimonio e s’ispira all’installazione di Sami Alkarim, iracheno che ha conosciuto il carcere di Abu Ghraib, ora rifugiato politico negli Usa. L’opera è una mappa del Medioriente realizzata con la trama di un tappeto, oggetto simbolico per gli arabi, ma capovolta, in modo da confondere l’est con l’ovest. Al centro, tre piccoli video che trasmettono immagini della rivoluzione egiziana e alcune bambole e marionette, per rappresentare come la protesta sia stata e sia, secondo i suoi detrattori, fasulla e pilotata. 
Nel filmato della palestinese Larissa Sansour, A Space Exodus del 2009, l’astronauta atterra e passeggia sulla luna come Armstrong sulle note della colonna sonora del film 2001 Odissea nello spazio di Kubrick. Lascia le sue impronte e pianta la bandiera palestinese. La luna sembra così essere l’unico luogo non conteso dove poter creare uno Stato e rivendicare un territorio. Sansour, nata a Gerusalemme, ha studiato in Europa e negli Usa, esponendo in prestigiosi musei del mondo. Poco più di un mese fa è stata al centro di alcune polemiche dopo che la Lacoste ha deciso di revocare la nomination ufficiale per il Lacoste Elysée Prize 2011 al suo lavoro Nation Estate, censurato con l’accusa di essere troppo filo-palestinese. 
Di tutt’altro tenore il video di un altro artista palestinese Nawras Shalhoub che, dopo aver proposto una piccola statua della libertà  di pane adagiata sulla riva di un laghetto e smangiucchiata dai piccioni, in Al Schabeh esibisce se stesso in primo piano per 14 lunghi minuti, sulle note di Beethoven. Solo alla fine, con lo scorrere di una lacrima sulla fronte, lo spettatore capisce che l’uomo è a testa in giù. Shalhoub mostra così una delle torture subite nelle carceri israeliane. Sonny Sanjay Vadgama, ingegnere di origini indiane del Kashmir, nato e vissuto a Londra, ex assistente di produzione per la Bbc, in Eye for an eye, fa vedere la caduta e la distruzione dell’Hotel Hilton a Beirut, demolito nel 2002, un luogo simbolo della convivenza interreligiosa e teatro della guerra civile. Dal Marocco, l’artista Hassan Hajjaj da anni residente in Inghilterra e considerato l’Andy Warhol magrebino, è presente con alcuni scatti fra cui Ladies on the roof (Signore sul tetto) dove un gruppo di donne in tunica mimetica e viso nascosto palesa la loro forza come militari che combattono in prima fila. 
Fra gli artisti, anche Maziar Mohktari, iraniano di Isfahan, italiano d’adozione, con la videoinstallazione Palinsest, Salvatore Billeci di Lampedusa che attraverso raggi luminosi crea alcune parole sacre del Corano per ricordare 25 migranti morti l’estate scorsa intossicati nella stiva di una barca affondata, infine Maurizio Maggi con un’installazione sonora. La rassegna, a cura di Gaia Serena Simionati e organizzata dalla Galleria OltreDimore, fa parte del ricco programma di Arte Fiera Off. Si può visitare fino al 30 gennaio nello spazio MenoMale, a Bologna, mentre nei padiglioni del quartiere fieristico si svolge uno fra i più grandi mercati d’arte d’Europa.


Related Articles

L’ultima estate di Cechov nel giardino senza ciliegi

Loading

La moglie lontana, il figlio mancato, la delusione artistica 

QUEL CONTADINO CHE PUà’ SALVARE LE NOSTRE TERRE

Loading

“Il manifesto” scritto da Rabhi è un vero e proprio programma politico 

Scosse politiche e sociali nel «sogno cinese» di Xi

Loading

Dalla politica estera e il terrorismo alla nuova sensibilità sociale e conflittuale della letteratura degli operai migranti

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment