Solo promesse sui redditi del governo?

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La pubblica amministrazione e il governo avrebbero bisogno di una bella scossa riguardo alla trasparenza. Il 16 aprile del 2004 il presidente della Bundesbank Ernst Welteke rassegnò le dimissioni dopo che il settimanaleDer Spiegel aveva rivelato come il suo conto al lussuoso albergo Adlon di Berlino, nel quale aveva soggiornato quattro giorni insieme alla moglie, ai due figli e alla fidanzata di uno di questi, in vista del party per il battesimo dell’euro, fosse stato pagato dalla Dresdner bank. Costo del gentile omaggio: 8 mila euro. Cioè meno della metà , secondo quanto riportato ora dal Fatto Quotidiano, della somma spesa nel maggio 2008 da Francesco De Vito Piscicelli (noto in seguito per essere colui che un anno dopo «rideva» la notte del terremoto in Abruzzo pensando evidentemente agli affari che ne sarebbero derivati) per un soggiorno di una settimana al Pellicano di Porto Ercole, Argentario, dell’ex sottosegretario alla presidenza Carlo Malinconico Castriota Scanderbeg. Ai giudici Piscicelli ha raccontato che si trattava di un favore per Angelo Balducci che gli era stato chiesto dall’appaltatore Diego Anemone, inquisito insieme all’ex presidente del Consiglio dei Lavori pubblici per gli affari della Cricca. 
L’inchiesta aperta a carico di Welteke venne archiviata dopo che l’ex banchiere centrale ebbe pagato una multa di 25 mila euro, devoluta a un istituto per carcerati. Il presidente della Bundesbank venne poi collocato a riposo con una pensione decurtata di due terzi, da 24 mila a 8 mila euro lordi. Malinconico non è stato invece mai indagato. Sentito dai magistrati, mise a verbale di aver chiesto di pagare il conto, precisando che quando alla reception gli dissero «che era stato già  tutto saldato», decise «di non andare più in quell’albergo». Nel luglio del 2008 è poi diventato presidente della federazione degli editori e nel novembre dello scorso anno è stato nominato sottosegretario a palazzo Chigi con delega all’editoria. 
Nel merito, le due vicende non sono apparentemente confrontabili. Welteke era presidente della Bundesbank e la Dresdner era un soggetto da lui vigilato. Malinconico aveva appena concluso la sua esperienza a palazzo Chigi con Romano Prodi e Piscicelli ha dichiarato di non conoscerlo. Ma nessuno ci può togliere dalla testa che in un Paese come la Germania (ma anche come la Gran Bretagna, la Spagna, gli Stati Uniti e probabilmente anche la Francia) quell’episodio non sarebbe passato come l’acqua fresca. 
Ovunque il ruolo istituzionale che Malinconico adesso ricopre e le storie nelle quali quell’imprenditore risulta coinvolto imporrebbero chiarezza assoluta. Lui stesso dovrebbe avere l’interesse a farlo, senza indugi né reticenze. Ed è proprio questo il punto che tira in ballo ancora una volta le responsabilità  della stessa presidenza del Consiglio, di cui Malinconico è ora inquilino. Quando, il giorno successivo all’insediamento del governo di Mario Monti, abbiamo chiesto totale trasparenza su redditi, situazioni patrimoniali e interessi economici di ministri e sottosegretari, confidavamo che finalmente si sarebbe voltata pagina. Su un esecutivo a cui era affidato il compito di allontanare il Paese dall’orlo del baratro non poteva gravare nessun sospetto. E non parliamo soltanto del conflitto d’interessi fra l’attività  istituzionale e gli affari personali, un virus che per troppi anni ha ammorbato la politica italiana. Ma anche delle ombre che certi rapporti professionali o di business avrebbero potuto gettare sull’azione dei singoli componenti del governo. 
Da uno dei ministri più influenti ci venne risposto riservatamente, la mattina seguente, con un breve messaggio che diceva testualmente: «Già  deciso come da voi suggerito, insieme al presidente Monti». A distanza di quasi due mesi da quella telegrafica indiscrezione, dobbiamo purtroppo registrare come, tranne casi sporadici e talvolta sollecitati dalla stampa, la promessa è rimasta tale. Ieri al Sole 24 Ore Monti ha annunciato che si provvederà  «entro i termini». Cioè tre mesi. Prendiamo atto: ma mentiremmo se non dicessimo che al freddo rispetto dei burocratici novanta giorni avremmo preferito una prontezza adeguata alla eccezionalità  della situazione. Tanto più che la pubblica amministrazione avrebbe bisogno di una bella scossa considerando come sul piano della trasparenza l’andazzo generale non sia affatto migliorato. Le auto blu, per esempio. All’inizio di dicembre la Funzione pubblica ha avviato il censimento delle macchine di servizio di tutte le amministrazioni. Senza scatenare scene di entusiasmo, se è vero che dopo ben venti giorni appena il 51,6% degli uffici aveva «aderito» alla richiesta del governo e i questionari risultavano compilati in non più del 44,6% dei casi. E gli altri? La mail non era arrivata, il fax era rotto, il centralinista aveva l’influenza? Fatto sta che si è resa necessaria una proroga fino al 20 gennaio: vedremo quali saranno i risultati. Sempre che arrivino dati completi, chiari e fedeli da tutti gli interpellati.
Nel frattempo incrociamo le dita, sperando di aprire un giorno il sito di palazzo Chigi e trovarvi davvero tutte le informazioni che avevamo chiesto su chi ci governa: esattamente come possono fare tedeschi, inglesi, spagnoli, americani… E magari anche qualcosa di più, come ha detto Monti al quotidiano della Confindustria. La trasparenza è essenziale per i cittadini, ma è decisiva per i governanti. Senza trasparenza non c’è credibilità . E senza credibilità  non si governa bene. Talvolta non si governa affatto.


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