Ultimo rapporto su un disastro “L’iceberg si poteva evitare”

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Il primo radio messaggio è delle 23,45, esattamente cinque minuti dopo la collisione con il gigantesco iceberg: «Stiamo affondando rapidamente, venite a salvarci». Il marconista Jack Phillips segnala anche la posizione della sua nave nelle gelide acque dell’Atlantico: latitudine 41.46 nord e longitudine 50.14 ovest. Ci sono almeno dieci bastimenti che ricevono l’Sos, il primo che ordina «di cambiare subito rotta per accorrere in aiuto ai naufraghi» è il comandante Leonid Stulpin del piroscafo russo Birma. Ma è a una distanza di novanta miglia marine, chissà  quando arriverà  in quel punto al largo delle coste di Terranova. È la notte fra il 14 e il 15 aprile del 1912. E il Titanic si sta inabissando. Questa comunicazione disperata – insieme a centinaia di relazioni, schede, grafici, disegni, interrogatori, lettere, elenchi di morti e sopravvissuti – fa parte dell’immensa collezione di documenti che ricostruisce istante per istante ciò che accadde quasi un secolo fa al transatlantico che avevano soprannominato «l’Inaffondabile». Nell’anno del centenario di una tragedia che ha segnato l’immaginario popolare del Novecento, Repubblica è entrata negli archivi inglesi di Kew Gardens per raccontare quel dramma rileggendo le carte originali, a cominciare dal primo dossier ufficiale del 30 luglio 1912 (Report on the Loss of the Titanic) stilato da una commissione del governo britannico presieduta da Lord Mersey. 
Ai National Archives c’è una sezione dedicata esclusivamente al naufragio più famoso della storia, che conserva in microfilm tutti gli atti sulla scomparsa del Titanic. L’atto più prezioso è quel fascicolo (classificato MT9/920E) dove c’è la descrizione tecnica della nave, il resoconto dei primi giorni di viaggio, le testimonianze di chi si è salvato, la cronaca della collisione con le osservazioni «su tutte le azioni che si sarebbero dovute assumere per evitare il disastro». Sono 74 pagine di avvincente lettura, nonostante il tempo passato e i moltissimi scritti e indagini sul Titanic. Un rapporto accompagnato da allegati, note giurate, deposizioni. Per esempio quella di Reginald Robinson Lee, il marinaio che era di vedetta sulla torretta più alta – «il nido del corvo» – per avvistare gli iceberg. Poi ci sono le liste degli italiani affogati, tutti camerieri imbarcati per guadagnare qualche sterlina fra i tavoli degli sfarzosi ristoranti del transatlantico. E poi ancora c’è la testimonianza del comandante Stulpin, che ricorda come fu spaventosa l’alba del giorno dopo: «Quando finalmente giungemmo sul luogo, del Titanic non c’era più traccia».
È il 23 aprile – appena una settimana dall’affondamento nell’Atlantico – e a Londra s’insedia la commissione di Lord Mersey. In meno di tre mesi si celebrano 37 udienze pubbliche e si ascoltano 97 testimoni. Fra di loro anche molti naufraghi. Le prime pagine del dossier riportano numeri e liste d’imbarco. Il Titanic parte mercoledì 10 aprile dal porto inglese di Southampton – fa scalo in Francia a Cherbourg e in Irlanda a Queenstown – e poi la supernave della White Star Line, al suo viaggio inaugurale, si avventura in mare aperto verso l’America con a bordo 1.316 passeggeri e 885 uomini d’equipaggio. In prima classe sono in 325, in seconda 285 e 706 in terza classe. Fino a domenica 14 aprile la traversata è tranquilla. Poi sul Titanic cominciano a ricevere messaggi di altri bastimenti. Alle 9 del mattino è quello del capitano Barr del Caronia: «Attenzione, alcuni piroscafi diretti a ovest segnalano iceberg e banchi di ghiaccio». Alle 13,42 è dal Baltic che spediscono un dispaccio: «La nave Athenai riferisce il passaggio di iceberg in grandi quantità ». Alle 14,45 un marconigramma viene dall’Amerika: «Abbiamo avvistato montagne di ghiaccio dappertutto». 
La commissione d’inchiesta, a questo punto, commenta: «Alle 17,50, nonostante le segnalazioni, il capitano del Titanic Edward Smith ordina di puntare a ovest verso New York». Sui manuali di navigazione civile si raccomanda «di virare verso sud con un’ampia curva» per evitare gli iceberg e poi, al tramonto, di diminuire la velocità . Ma sul Titanic c’è gente ricca e potente, come Guggenheim e Astor, che ha fretta di arrivare negli Stati Uniti. La nave procede così a grande velocità : 22 nodi. Il giudizio degli inquirenti – a pagina 30 del rapporto – è categorico: «Il comandante Smith ha commesso un errore, un errore molto grave». Alle 19,30 del 14 aprile 1912 il marconista del Titanic intercetta una comunicazione fra il piroscafo Californian e l’Antillian: «Avvistati tre iceberg cinque miglia a sud». E alle 21,40 dal vapore Mesaba avvertono ancora il Titanic «di avere visto grandi distese di ghiaccio». Il nord Atlantico è diventata una trappola mortale. Ma, secondo l’inchiesta governativa, «il marconista a quell’ora è troppo occupato a trasmettere i messaggi privati dei passeggeri a bordo del Titanic». Mette da parte gli avvisi di pericolo. E il transatlantico va verso il suo destino. Colpito dall’iceberg alle 23,40, sparisce fra le onde alle 2,20. 
Nel report vengono ripercorse tutte le fasi che precedono l’affondamento: «Poco prima delle 23,40 le vedette del nido del corvo batterono tre colpi di gong, il che significava “iceberg di fronte alla nave”. Immediatamente dopo il primo ufficiale Murdoch diede l’ordine di virare a sinistra e indietro tutta». L’iceberg è a cinquecento yard, meno di mezzo chilometro. È troppo tardi. Il Titanic sta rallentando ma la montagna di ghiaccio è sempre più vicina, quando la nave la tocca si apre uno squarcio laterale di oltre cento metri. È in quel momento che partono i messaggi di Sos. La nave che non poteva affondare sta già  imbarcando acqua «in cinque compartimenti di prua». Sono le 00,05, in mare ci sono le prime scialuppe. Sono venti, capaci di contenere solo 1.178 persone. Due si rovesciano subito. Alle 4,10 del mattino sono 711 i sopravvissuti che montano in coperta del Carpathia, un altro transatlantico che sulla sua rotta fra New York e Fiume incrocia i disperati del Titanic. Stando a quel primo dossier del governo britannico gli affogati sono 1.490, numeri che nei mesi e negli anni successivi cambieranno di qualche decina di unità  sul calcolo di altre commissioni d’inchiesta e sulla base di nuove ricerche nelle liste passeggeri e d’equipaggio. Dei 711 sopravvissuti 189 sono marinai, 128 sono passeggeri maschi e 394 le donne e i bambini. 
Il dossier di Lord Mersey è molto severo anche sulle operazioni di soccorso: «Se ci fosse stata una migliore organizzazione sarebbe stato possibile salvare più vite […] occorre capire perché, ad esempio, molte scialuppe sono state caricate con un numero relativamente basso di passeggeri». Gli inquirenti provano anche a sfatare una leggenda che – già  in quell’estate del 1912 – è cominciata a circolare: «Non sembra essere vero che ai passeggeri di terza classe sia stato negato l’accesso ai ponti da cui scendevano le scialuppe e sia poi stata data precedenza a quelli di prima e seconda classe […] in realtà , i passeggeri di terza classe erano riluttanti ad abbandonare la nave e a separarsi dal loro bagaglio». Nel documento emergono altri dettagli inquietanti. Fra i 97 testimoni sfilati davanti alla commissione c’è anche quel Reginald Robinson Lee, una delle vedette della nave, il marinaio che avrebbe dovuto avvistare da lontano gli iceberg. Ecco la trascrizione ufficiale del suo interrogatorio. 
La commissione: «Eri tu la vedetta sul Titanic?» Lee: «Sì». La commissione: «Ci fu una visita oculistica a Southampton prima che tu fossi incaricato di fare la vedetta?». Lee: «Sì». La commissione: «Chi ti fece la visita?». Lee: «Il ministero del Commercio». La commissione: «Come si chiamava il medico che ti ha visitato?». Lee: «Non ne conosco il nome». La commissione: «Il medico che ti ha visitato ti ha fatto una visita oculistica, ti ha misurato la vista?». Lee: «Sì». La commissione: «Lo giuri questo?». Lee: «No». La commissione: «Chiariamoci bene, sei stato mai visitato da un medico del ministero a Southampton?». Lee: «Non voglio dire niente su questo». La commissione: «Sei stato visitato da un medico a Southampton o no?». Lee: «Sissignore ma non dal punto di vista oculistico». La commissione: «Ti hanno fatto delle domande sulla tua vista?». Lee: «Non nello specifico». La commissione: «Ti hanno chiesto altro sulla vista?». Lee: «No». Una prassi non proprio anglosassone. E una certa omertà  da parte di quel marinaio che stava in osservazione «sul nido del corvo». 
Nel rapporto ministeriale sulle cause dell’affondamento del Titanic e sulle negligenze della compagnia armatrice c’è anche un allegato con i nomi di alcuni dei 37 camerieri italiani morti nel naufragio. Un elenco freddo di tanti nostri connazionali che facevano gli emigrati in mezzo al mare: «Basilico Giovanni di Cesare, di anni 25, nato a Desio (Milano), cameriere; Valvassori Ettore di anni 37, nato a Montodine (Crema), cameriere; Sesia Giacomo di Secondo, di anni 24, nato a Narbonne (Francia) oriundo di Cavagnolo, cameriere; Ratti Enrico fu Francesco, di anni 23, nato a Cassano d’Adda, cameriere…».


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