Anonymous, l’ultimo colpo dei soliti ignoti nella rete

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WASHINGTON.  Sono, o credono di essere, gli angeli vendicatori della opacità  politica, bancaria e industriale. Le sentinelle invisibili nell’ombra della Rete. Il loro simbolo è un punto di domanda sopra una figura di uomo in una parodia del logo dell’Onu. Ma chi è Anonymous.
Il gruppo di ciber vigilantes globali che infiltrano e penetrano le casseforti informatiche di banche e di governi, di ministeri e di eserciti, di aziende e di polizia, in ogni luogo e in ogni momento, per affermare il diritto a un mondo senza segreti?
Anonymous sono tutti, siamo noi, posso essere io che ne scrivo qui, tu, il tuo capo, il tuo collega, il vicino di casa, tua moglie, tuo figlio, chiunque avverta la vocazione alla trasparenza e possa mettere le dita su un computer collegato alla Rete.
In queste ore, hanno scassinato e riscritto la nuova e repressiva Costituzione ungherese dall’interno del sito della Corte Costituzionale. Uno “stunt” dimostrativo, una pura esibizione di potenza, presto cancellata. Hanno attaccato e paralizzato per ore siti di ministeri americani, dall’Fbi al Pentagono, spesso con la tecnica del DdoS, il “Denial of Service”, l’inondazione di richieste che si moltiplicano e si specchiano l’una nell’altra fino a quando i server si arrendono, soverchiati. In Italia hanno naturalmente assunto anche la maschera dei No Tav, inondando Twitter, Facebook, tutti i luoghi e gli strumenti della comunicazione e della espressione indignata, colpendo il sito del Ministero della Giustizia. Ma oggi tremano anche le industrie, le banche, le multinazionali.
Anonymous è la globalizzazione del “vigilantismo” armato con la potenza del web. E’ l’esplosione in chiave high tech del giornalismo investigativo, la moltiplicazione anonima e dunque molto meno rischiosa del coraggio individuale che aveva spinto uomini come Daniel Ellsberg a demolire le menzogne ufficiali del Pentagono sulla guerra in Vietnam, o donne come Erin Brockovich, che osò sfidare la Pacific Gas and Electric Company per avere avvelenato le acque con il cromio esavalente.
Non è un organizzazione, una setta, un complotto anti complotti, ma il prodotto naturale e inevitabile di un mezzo come la Rete che consente, che invita, la partecipazione di chiunque alla reciproca sorveglianza, dietro la maschera irridente di Guido “Guy” Fawkes, il papista cattolico – paradossale scelta simbolica, questa – che nel ‘600 tentò di far saltare il Parlamento di Westminister, uccidere re Giacomo Primo e riportare la Gran Bretagna sotto il segno di Roma.
«Se non avete niente da nascondere, non avete niente da temere» è uno dei motti che si trovano sui vari “board”, sui siti e sui manifesti che orbitano attorno al concetto e alla network di Anonymous, ormai vicina a Wikileaks per azioni e per il terrore che ispira nei potenziali obiettivi. Ma avere qualcosa da nascondere non significa implicitamente avere qualche malefatta da nascondere, come sembra indicare il motto. Ci sono segreti industriali, commerciali, diplomatici e militari che richiedono segretezza.
Sono stati definiti come «uno stormo di uccelli», che improvvisamente si mettono a volare tutti insieme nella stessa direzione, aumentano di numero, oscurano il cielo, ma con la stessa rapidità  si disperdono, cambiano direzione, scompaiono. Migliaia di questi “hacktivisti”, come sono stati chiamati nel neologismo nato da hacker e attivisti, sono stati individuati e arrestati, smontando luoghi comuni su fornucolosi adolescenti frustrati e in pigiama intenti a vendicarsi del mondo dai loro scantinati.
Sono spuntati inattesi personaggi come un giardiniere in California, un pensionato in Germania, una studentessa nel Michigan, giovani come anziani. Tra di loro, nelle ricerche dell’Fbi che è stato uno dei bersagli preferiti perché il “Bureau” è in prima linea nella repressione e nella chiusura dei siti per lo scarico gratuito di musica e di video con copyright, ci sono uomini e donne di estrazione diversissima, legati dal filo comune e invisibile della difesa della totale e intoccabile libertà  della Rete e dell’accesso a ogni materiale.
La reazione dei vigilantes fu infatti specialmente virulenta quando si alzò lo spettro delle leggi anti-pirateria americane, la Sopa e il Pipa Act, e l’Acta europeo, lanciando una serie di attacchi e di “Denial of Service”, di blocchi, per difendere Megaupload, il sito con sede ufficiale in Cina, e l’arresto di Kim Dotcom, nato Kim Schmitz, il fondatore, nella sua sontuosa residenza in Nuova Zelanda. «Tutti i vostri dati ci appartengono» è la risposta alla segretezza, agli omissis, ai copyright. Nel 2011 minacciarono di «distruggere Facebook», ma non avvenne. Il che non significa che non potrebbe avvenire.
Ma Anonymous non è un’ideologia. E’ un concetto, un’idea che esiste soltanto quando agisce. Un “meme”, nel gergo della Rete, un “miim” nella pronuncia inglese, diffuso attraverso i meccanismi delle nuove tecnologie e dei nuovi prodotti, hashtag, Facebook, blog, email, YouTube, usato a volte per fare pubblicità  commerciale. Chiunque può entrarvi e uscirne, anche lasciando un messaggio, un suggerimento, una spiata nella cassetta postale, il “dropbox” che i siti apparentati allo stormo offrono, volare con loro per un tratto e poi abbandonarli. L’anonimato degli anonimi è garantito con i più sofisticati e complessi meccanismi di sicurezza, chiavi a 256 bit, il massimo, password quasi impossibili da ricostruire, dispositivi che smentiscono l’assunto stesso del gruppo, che nessuna cassaforte sia davvero impossibile da scassinare.
«Non potremo mai bloccarli – ammise davanti al Congresso americano un specialista dell’Fbi – perché sarebbe come pretendere di eliminare tutti i pesci dall’oceano». Si sente una corrente di onnipotenza, in questo oceano senza nome e il brivido del rischio che ogni vigilantismo corre. Dove fermarsi? Chi controlla i controllori? Dietro l’anonimato, si possono nascondere egualmente angeli e demoni.


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