Elmore Leonard: “Tarantino fu beccato a rubare un mio libro ora spero ci faccia un film”

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New York – Lo scrittore più amato da Hollywood, venti film tra cinema e tv, aspetta una risposta dal regista più esuberante. «Morgan Freeman sta cercando di convincere Quentin Tarantino a dirigere Gibuti», il giallo in uscita in Italia (Einaudi Stile libero) sui pirati del Corno d’Africa. «Lui sarà  Xavier, l’uomo sulla barca con la donna. La donna non sappiamo ancora chi sarà  ma per prima cosa Morgan sta cercando di tirare dentro Quentin». A 86 anni Elmore Leonard parla ancora asciutto come i suoi personaggi: anche mentre ti serve – rivelando la trattativa col regista di Pulp Fiction – un piccolo scoop. A volte si perde perfino, inseguendo le sue creature: «No: a Gibuti non sono mai stato. Sono stato a Portorico per Chili Palmer. Conosce Chili Palmer? Era in Get Shorty. Però, un momento, credo che a Portorico fosse in un altro libro…». 
Ha scritto il Guardian: «Elmore Leonard è il più grande scrittore al mondo di crime story. Ma è giunto il momento di far cadere la distinzione di genere». Lei come si considera?
«Romanziere è meglio che scrittore di crime story. Però c’è sempre un crimine nei miei libri. Perché sempre di quello scrivo: buoni e cattivi».
Perché sempre buoni e cattivi?
«Perché il gioco è tutto lì».
Resta comunque un genere affollatissimo: intravede qualche erede?
«I miei editori mi dicono che ci sono un sacco di giovani scrittori che cercano di imitarmi, di suonare come me, con tanti dialoghi. Fa piacere sentirselo dire. Poi leggo i libri che mi mandano, in cerca sempre di un giudizio, e tutta questa somiglianza non la vedo. Voglio dire: loro ci provano. Ma io lo faccio da 60 anni».
Il critico del Wall Street Journal le ha chiesto: perché scrive ancora alla sua età ? La sua risposta: non posso mica restarmene qui seduto a guardare fuori dalla finestra. Ma allora scrivere è un lavoro come un altro? 
«Per niente. Scrivere è divertente: e deve divertire. Se non lo è – allora meglio che ti cerchi un altro mestiere. Sono stato per sette anni in un’agenzia di pubblicità : il lavoro più noioso mai fatto. Seduto dietro a una scrivania a trovare slogan per la Chevrolet».
Ma scusi: stiamo parlando degli anni ’50 e ’60. Gli anni del boom dei creativi. Gli anni raccontati in un serial tv diventato cult: Mad men. Dove tutti sembrano divertirsi un mondo.
«E io vi dico che era noiosissimo. Lo vedo Mad Men: è ambientato proprio negli anni in cui ci lavoravo io. Vedo anche che lì tutti fumano furiosamente, la bottiglia di whisky sulla scrivania. Nulla di tutto questo. Avranno detto agli attori: ricordatevi che a quei tempi fumavano tutti. E questi ragazzi – oggi i ragazzi non fumano più – hanno semplicemente preso l’indicazione troppo alla lettera: tutti quei nuvoloni…».
L’ennesima truffa della tv.
«Assolutamente».
Non salva niente della sua esperienza?
«Ricordo soltanto che non vedevo l’ora che si facessero le 5 di sera per tornarmene a casa. Tu sei lì con questa pubblicità  della Chevrolet – metti: una station wagon – e il tuo compito è trovare qualcosa che spinga la gente a saltarci su. Naturalmente doveva suonare tutto così allegro: ma non era per niente allegro da scrivere. Che sollievo esserne uscito».
Come ha fatto?
«Ho cominciato a scrivere i primi western quando lavoravo ancora all’agenzia. Mi svegliavo alle 5 del mattino e scrivevo per due ore. A quel tempo riuscivo a scrivere più o meno una pagina all’ora: non ero ancora così bravo. Però funzionò. Per tutti gli anni ’50 ho scritto 13 racconti e 5 romanzi. Soprattutto western. Cominciai a vendere i diritti al cinema. Yuma vendette il doppio degli altri. Allora le riviste pulp mi pagavano 2 centesimi a parola. Con Yuma, per esempio, che era lungo 4500 parole, feci 90 dollari. Poi venne il film con Glenn Ford e in un colpo feci 40.000 dollari… Mica male».
Da allora a Jackie Brown è più di mezzo secolo che il grande schermo pesca dalla sua fantasia. Lei l’ha detto chiaramente: «Cerco sempre di scrivere come se il libro fosse pensato per il cinema».
«Non scrivo direttamente per il cinema. Ma quando scrivi come faccio io, con tutti quei dialoghi, è più facile per i produttori vederci già  un film».
Ma quali modelli di film ha in mente? Quali erano i suoi eroi di Hollywood da ragazzo?
«Ho sempre amato tutto il cinema. Dovrei tornare indietro a quando ero bambino. Ecco: Niente di nuovo sul fronte occidentale».
Il capolavoro di Lewis Milestone dal romanzo di Erich Maria Remarque. Che cosa la colpì?
«Il racconto della guerra – era la prima guerra mondiale – dalla parte dei tedeschi: mostrava che era la stessa tragedia per tutti».
È il primo film che l’ha ispirata?
«Facevo la quinta elementare ed ero rimasto così colpito che scrissi io stesso una piccola storia di guerra: con le trincee e tutto resto. La mettemmo in scena a scuola. I banchi erano il filo spinato e gli attori-alunni dovevano strisciarci sotto – verso la terra di nessuno. Chi veniva catturato, chi veniva ferito, chi veniva raccolto e trasportato in trincea: gli americani da una parte e i tedeschi dall’altra. A scuola eravamo tutti bianchi: solo un ragazzo nero. Io ero appena arrivato a Detroit da Memphis, Tennessee, e non avevo mai visto un ragazzo nero: lo misi subito tra i tedeschi».
Un’altra America. E pensare che lei oggi vota per Barack Obama.
«Mi piace un sacco. Però dovrebbe fare di più. Un po’ più di coraggio nel portare avanti le sue idee. S’è tirato troppo indietro. Speriamo ce la faccia».
Com’è cambiato il suo modo di lavorare?
«Leggo sul New York Times che adesso vanno forte anche i miei e-book: ma io non ne ho mai visto uno. Non ho computer, non ho email, niente di niente. Continuo a scrivere a mano più che posso. Poi quando la scena è completa la butto giù a macchina e vedo l’effetto. La riscrivo fino a quando non sono completamente soddisfatto».
Riscrive tanto?
«Diciamo che devo scrivere per tre pagine per arrivare a una pagina “pulita”».
Segue un certo ritmo? Come si regola sulla lunghezza?
«Continuo a riscrivere mentre la storia va avanti e vado avanti portando in lungo tutti gli elementi della storia. Poi quando arrivo, per esempio, a pagina 320, quando sono andato abbastanza lontano da pensare a una fine, trovo – appunto – una fine: e quella è. I miei editor mi dicono sempre: ma i tuoi libri finiscono sempre così – di brutto! E io: ma quand’è finita è finita, la storia è stata raccontata, non c’è più nulla da aggiungere. Cosa volete di più: i cani che abbaiano? Una bella famigliola felice sullo sfondo?».
Aspettando il sì di Quentin Tarantino, lei ha già  lavorato con lui in Jackie Brown…
«…. Veramente lo conosco da ragazzino. Avrà  avuto 14 anni: si fece beccare in libreria mentre cercava di rubare proprio un mio libro».
Ha visto il suo ultimo film, Inglourious Basterds?
«Mi mandò la sceneggiatura: mi dai un’occhiata? Voglio sapere cosa ne pensi, vorrei pubblicarla. Comincio a leggerla, avrà  avuto almeno 150 pagine, sono 50 pagine di più di una sceneggiatura normale. Insomma era così ricca di scene, così ricca di materiale, che m’ha stroncato: e non ce l’ho fatta più. A pagina 100 ho mollato. Senti, gli ho detto, mi sa che mi tocca aspettare il film».
Le è piaciuto?
«Ma il film funzionava benissimo! Speriamo che adesso Morgan lo convinca a fare Gibuti».
Con la sceneggiatura, stavolta, non ci sarà  problema: nessuno al mondo come Elmore Leonard sa quando metterci un punto.


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