Feltrinelli, il giallo di una perizia ritrovata Il mistero del traliccio 40 anni dopo

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Accadde il 15 marzo di quarant’anni fa. Nel primo pomeriggio sotto un traliccio dell’Enel vicino a Milano viene rinvenuto il corpo di Giangiacomo Feltrinelli. All’ora di pranzo l’editore non s’era presentato all’appuntamento a Lugano con il figlio Carlo: Inge viene assalita da un brutto presentimento. La polizia ricostruisce la dinamica dell’incidente, e questa rimarrà  la versione ufficiale: la notte prima Giangiacomo aveva raggiunto il traliccio di Segrate con quindici candelotti di dinamite. Obiettivo: black out su Milano, nel giorno in cui comincia il congresso del Pci. Un movimento brusco, e Feltrinelli salta per aria. L’Italia si divide. «Feltrinelli è stato assassinato», è l’immediata reazione della Milano democratica. L’ultima “feltrinellata” del terrorista miliardario, è la sintesi sprezzante della stampa di destra.
Da un paio di anni Giangiacomo Feltrinelli viveva in clandestinità , e ancora da più tempo aveva deciso che il mestiere dell’editore non gli bastava più. Per cambiare il mondo era necessaria l’azione politica, che confusamente individua in un perpetuo interventismo nelle guerriglie del mondo. “Pluricampione mondiale in editoria”, liberatore di Pasternak e scopritore del Gattopardo, una fittissima agenda internazionale e una consistente fortuna economica. Tutto perduto, per un’ossessione. Il secondo viaggio a Cuba, nel 1967, l’ha profondamente cambiato, il ruolo di editore europeo cede catastroficamente il passo a quello di combattente anti-imperialista. In casa editrice faticano a riconoscerlo. Alterna catatonia e delirio, vuole fare della Sardegna una Cuba del Mediterraneo. «How far is he gone?», si chiede Inge nel suo diario. Una distanza che è non solo geografica, ma culturale politica e psicologica. I servizi segreti di diversi paesi – italiani, americani, israeliani – non lo perdono d’occhio.
In un’Italia attraversata da tentazioni reazionarie, l’ossessione di Giangiacomo per il colpo di Stato è destinata a crescere. E cresce la sua famigliarità  con la sinistra armata e con la dimensione della clandestinità . Nel dicembre del 1969 sceglie di andarsene da Milano. «He’s lost», annota Inge sul diario. Volato in un altro pianeta. Ancora due anni, e il tragico epilogo a Segrate.
A distanza di quattro decenni ancora non sappiamo come siano andate veramente le cose. O, per dirla con il figlio Carlo in Senior Service, manca la risposta che serve a chiudere la storia. Inge non ha mai creduto alla verità  ufficiale. Troppo atletico per inciampare su un traliccio. Troppo intelligente, pur nella follia, per pensare di immergere Milano nel buio. «Rimarrà  uno dei grandi misteri italiani», dice in una testimonianza autobiografica. Una perizia medico-legale, ritrovata recentemente dal Corriere della Sera, riapre il caso. Le mani intatte, i segni sui polsi, le ferite sulla testa: tutto lascia pensare che Feltrinelli sia stato prima tramortito, poi legato al traliccio con l’ordigno e fatto saltare. Né Inge né Carlo hanno voglia di tornare su quella storia. Forse è la risposta che cercano da tempo, «ma non vale a stabilire ciò che conta veramente» (così Carlo chiude la biografia paterna). Era il più internazionale dei nostri editori, aveva rivoluzionato le librerie e il modo di fare i libri. Un imprenditore di cultura a cui l’Italia deve molto. A Inge piace ripetere le parole di Brega, mitico direttore editoriale di via Andegari: «Giangiacomo è morto per tormentata coerenza».


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