La politica casa di vetro Così la voleva Plutarco

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Definiamo «classico» uno scrittore quando le sue opere, pur maturate in una certa società  e in una certa epoca, e quindi legate per mille fili a quella società  e a quell’epoca, tuttavia le trascendono in notevole misura, ed esprimono idee e pensieri che parlano alle generazioni successive, anche a distanza di parecchi secoli. Plutarco è appunto un «classico»: Erasmo da Rotterdam fu tra i suoi primi divulgatori in Europa; un suo grande ammiratore fu Montaigne, che per i suoi Essais trasse molti spunti dallo scrittore greco; suoi appassionati lettori furono Rousseau e Montesquieu: nello Spirito delle leggi la presenza di Plutarco è costante. In Italia Alfieri, Foscolo e Leopardi guardarono a lui con forte interesse e vi si ispirarono. Ma questi sono solo alcuni grandissimi nomi: in realtà , per ricostruire la storia della fortuna di Plutarco nella cultura europea non basterebbe un grosso volume.
Al centro dei Consigli politici (redatti probabilmente intorno al 100 d. C.) è l’arte di conservare la pace. «La cosa migliore — dice Plutarco — è provvedere per tempo che non abbiano mai a scoppiare tumulti e considerare che questa è la funzione più nobile dell’arte politica. Pensa che i maggiori beni da desiderarsi per la città  sono la pace, la libertà , la prosperità , l’incremento del popolo, la concordia». Perciò Plutarco giustifica e apprezza il dominio romano sulla Grecia, senza che venga mai meno in lui l’orgoglio di appartenere alla stirpe greca e alla sua cultura: tale dominio garantisce infatti quel bene supremo che è la pace. Oggi, egli dice, «è ormai dileguata e addirittura scomparsa ogni guerra tra i greci e contro i barbari, della libertà  poi i popoli ne hanno parte quanta ne concedono loro i dominatori, e l’averne di più forse non è bene».
Nei Consigli politici Plutarco svolge poi una serie di finissime considerazioni sul ruolo della politica nella società , sul rapporto politici/cittadini, sul come i primi devono rapportarsi ai secondi. Direi che la politica, pur vista nella sua autonomia, viene considerata da Plutarco nella sua dimensione morale, con la consapevolezza che, se essa diventa immorale, non è più nemmeno politica, bensì è tutt’altro: è caccia, o pascolo di bestie senza ragione. È qui l’aspetto più affascinante dei Consigli politici, sfuggito a pur esimi studiosi.
Così, per esempio, il grande storico dell’antichità  Moses Finley, nel suo libro La politica nel mondo antico (1983), dopo aver rilevato che Plutarco cita molti passi di scrittori greci e latini, che hanno per oggetto il comportamento decoroso, l’onestà , la moderazione dello stile di vita, aggiunge: «Non molto riesco a trovare nel saggio che abbia attinenza con problemi fondamentali, o anche solo con quelli che potevano essere tali nel passato, e non vi trovo nulla che illumini la politica così del passato come del presente». Giudizio, questo, che può forse essere giustificato se si vuole dire che nei Consigli politici non ci sono sviluppi dottrinali importanti rispetto alle concezioni politiche di Platone e di Aristotele; ma che non può non essere respinto se si considera quella dimensione morale della politica di cui dicevamo prima, e che è al centro della riflessione di Plutarco.
«Quelli che si occupano di politica — egli dice — non solo debbono dare conto di quello che dicono e fanno in pubblico, ma si indaga anche con curiosità  sul loro banchetto, sugli amori, sul matrimonio, su quanto fanno di scherzoso o di serio». Perciò, aggiunge Plutarco, Livio Druso, il tribuno della plebe, «ottenne giustamente fama, poiché, siccome la sua casa aveva molte parti ben esposte alla vista dei vicini e un artigiano lo assicurava che per soli cinque talenti le avrebbe mutate e orientate in maniera diversa, disse: “Ne avrai dieci se renderai la mia casa tutta trasparente perché tutti i cittadini possano vedere in che modo vivo io”». Dunque, un politico può avere la fiducia piena dei suoi concittadini solo se — oltre a essere un buon politico, naturalmente — ha una vita lineare e specchiata, cioè se non si appropria di quello che non gli appartiene, se non abusa della carica per conseguire vantaggi per sé, per i parenti, per gli amici, e quindi solo se concepisce la propria attività  come un puro e semplice servizio a vantaggio della comunità  alla quale appartiene.
Quanto drammaticamente attuali suonano oggi le considerazioni di Plutarco!


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