Predoni e commando La guerra sporca tra le dune del Sahel

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Insieme ai «professionisti», agiscono i part time e i predoni. Sequestrano per denaro o per rivendere le loro prede ai qaedisti. Chi ha catturato Lamolinara e il suo collega inglese potrebbe appartenere a questa nebulosa. Magari un sottogruppo, lontano parente di Boko Haram, movimento tutt’altro che monolitico. Oppure una gang crudele che ha emulato le tattiche di Al Qaeda nel Sahel.
Una minaccia contro la quale diversi Paesi occidentali hanno reagito in modo muscolare. E così gli americani hanno schierato nuclei di forze speciali — Mali, Centro Africa, Nigeria — e finanziato programmi di difesa. Consiglieri che addestrano i militari locali e, all’occorrenza, effettuano blitz con l’appoggio di tecnologia, droni e aerei. Attività  militari sostenute da quelle di intelligence. Operazioni che restano «coperte» oppure sono mascherate in modo da apparire «assistenza ai civili». Un impegno ampio, dal Sahel fino alla Somalia. Interventi gestiti dal «comando Africa» che fiancheggiano quelli dei francesi, altri protagonisti lungo le dune del deserto. Grandi conoscitori della regione, gli uomini di Parigi usano un modello che ha fatto scuola. I primi a muovere sono dei consulenti — molti ex membri della Legione — che vivono nei paesi «caldi». Li chiameremo gli aggiustatori. Poi ci sono i mediatori incaricati delle trattative. Insieme ai locali, appaiono talvolta figure dal passato non proprio cristallino. E’ il caso di Philippe V. e Serge L., venuti in Mali a negoziare e diventati a loro volta prigionieri di Aqim. Il primo ha avuto guai per un presunto golpe di mercenari alle Comore, il secondo avrebbe fatto parte di un complotto per uccidere l’ex presidente serbo Milosevic. Sopravvissuti a queste avventure sono stati usati dagli 007 francesi. Qualcuno sostiene persino che abbiano cercato di creare una formazione armata. Altre «voci» parlano di riscatti che non corrispondono a quelli realmente versati. E forse è anche per questo che i due sono diventati ostaggi. Può sembrare strano ma la «cellula africana» ha operato così sin dall’epoca di Mitterrand. E quando le ombre non hanno risolto il problema ci si è affidati alle unità  d’elite. Nel gennaio di un anno fa due ostaggi francesi sono morti in un fallito blitz messo in atto dai commandos inviati da Parigi. Caso drammatico dal quale sono emerse prove sui legami tra i militanti del Sahel e i loro «fratelli» nigeriani.
Sulla scia di queste incursioni si sono mossi anche i britannici. I loro servizi hanno punti d’appoggio importanti in Nigeria e Kenya. Presenze modellate per inseguire terroristi, monitorare elementi che hanno legami sul territorio inglese e vigilare su una regione dove operano spie cinesi, iraniane, israeliane. Da qui passano armi, droga e uomini. Fino a due giorni fa, il lavoro spettava agli 007 ma il drammatico assalto in Nigeria dimostra che anche Londra ha deciso di alzare il livello dello scontro. Il primo di altri interventi. Gli algerini sono convinti che l’asse franco-britannico mediti un’azione contro i sequestratori del Sahel.
Guido Olimpio


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