Cosa sono i beni comuni

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Per capire la novità  assoluta di fenomeni sociali planetari e per evitare teorie totalizzanti nelle quali le persone e le esperienze reali scompaiono, è opportuno distinguere quali siano i beni inalienabili che necessitano di un regime politico, economico e legislativo particolare e quali i conflitti di altra natura, che pure contribuiscono a delineare alternative, senza stringerli in affrettate categorie astratte. Qualche passo indietro: quando i beni comuni sono entrati nella nostra storia e tornano nel dibattito politico? All’inizio troviamo i commons, beni e regimi antichi che vivono nello spazio selvatico o quasi selvatico intermedio tra la wilderness profonda e le terre dei coltivatori (Gary Snyder). Pascoli, foreste, sorgenti, pesca, erbe spontanee e medicinali, fonti termali, tutte risorse senza il cartellino del prezzo che garantivano sussistenza nel mondo tribale e rurale, sottratte alle comunità  con la recinzioni delle terre comuni, in un percorso di appropriazione da parte di nobili, notabili e stati che arriva ai giorni nostri. Con la rivoluzione industriale il tema scompare per riapparire nel 1968 in un saggio controverso di Garret Hardin. Colpito dall’aumento della popolazione e convinto della finitezza delle risorse per delineare lo scontro drammatico prende ad esempio lo scatenarsi dell’avidità  individuale nelle terre comuni. Tesi contestata nel 1990 dalle ricerche sul campo di Elinor Ostrom, poi premio Nobel dell’economia: i casi da lei osservati dimostrano il contrario perché si può parlare di commons solo in presenza di regole mirate alla conservazione della risorse. Saranno invece le corporation e gli stati a saccheggiare il pianeta e le lotte del Terzo Mondo per fermarne la distruzione riportano alla ribalta i commons. Antesignano il movimento Chipko in India, nel 1973, che impediva il taglio delle foreste himalayane, quindi le lotte per difendere la natura si estendono in Asia, Africa e America latina, descritte da Vandana Shiva, Ramachandra Guha, Joan Martinez Alier: è l’ecologismo dei poveri. Contemporaneamente in Occidente esplode un movimento ambientalista che vuole proteggere i beni comuni naturali – aria, acqua, terra, ecosistemi, biosfera – fondamentali per la vita dell’umanità  intera, aggrediti da un modo di produrre e consumare che cambia il clima, distrugge biodiversità , inquina ovunque. I beni comuni che tornano sono dunque beni primari naturali. Garantiscono la sopravvivenza quotidiana di un miliardo di persone, la salute e la qualità  della vita di tutti noi, la permanenza stessa della nostra specie sul pianeta. Gli esseri umani, lo si dimentica, per conoscere e lavorare devono restare vivi. Quando si teorizza la rivoluzione ricordiamoci che la Terra è abitabile soltanto entro una certa temperatura. I beni comuni dell’umanità  sono dunque essenzialmente i beni naturali che formano la rete della vita, e preservarne l’equilibrio usandoli in modo da consentire la rigenerazione, senza mercificarli, è il compito primo di ogni programma politico.


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