Lecce la sonnacchiosa prova a darsi una scossa

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LECCE – Come si cominciava,un tempo? Lecce, sonnacchiosa città  di provincia, il più orientale dei capiluogo italiani. Al diavolo, sonnacchiosa: in questi giorni si svolge un festival del Cinema europeo che vede discutere per cinque giorni Kusturica, Castellitto, Verdone, Tony Gatif, Linda Wendel e tanti altri e una giuria presieduta da Luciana Castellina; una serie di eventi lungo l’anno che richiama centinaia di migliaia di persone; gruppi musicali affermati a livello nazionale (Sud Sound System, Negramaro, Nidi d’Arac); un teatro stabile (Koreja) con una forte presenza sul territorio e che insieme produce spettacoli che porta in tutto il mondo; ci ambientano i loro film, grazie anche alle politiche di Apulia Film Commission (voluta da Vendola), Ferzan Ozpetek, Cristina Comencini, Sergio Rubini, Gianni D’Amelio, Giovanni Albanese, Luigi Sardiello e tanti altri, e crescono i registi indigeni (Edoardo Wispeare, Davide Barletti tanto per fare qualche nome); operano case editrici non del tutto marginali.
Al diavolo, sonnacchiosa. Qui gli affari prosperano, le filiali di tutte le banche nazionali e internazionali non si contano, il lusso e la quantità  delle boutique denunciano che, pur con la crisi in corso, il denaro corre: non certo quello dei lavoratori dipendenti, dei pensionati e dei precari e di quel 33% di giovani disoccupati, ma il denaro degli speculatori edilizi (spesso politici), dei costruttori, degli appaltatori delle opere pubbliche. Le superstrade qui si sprecano, e non si fa in tempo a cantierizzarne una – per dire, l’ecomostro da Maglie a Santa Maria di Leuca – che già  se ne approva una seconda – per dire ancora, il raddoppio da Maglie ad Otranto – che già  si riesuma un vecchio progetto di circumsalentina la quale era stata a suo tempo abbandonata perché rappresenta un cappio al collo intorno alla penisola salentina. Il denaro che corre è quello delle tangenti su queste opere, degli incarichi professionali ad avvocati, ingegneri, architetti e consulenti che la pubblica amministrazione elargisce in cambio di consenso elettorale.
Al diavolo sonnacchiosa. Qui si comprano le partite di calcio (e uno dei presunti acquirenti, l’imprenditore Carlo Quarta, è candidato in una lista civica di destra in appoggio al sindaco uscente); i consulenti dell’ex sindaco ed ex ministro berlusconiano Poli Bortone stanno in galera accusati di tangenti milionarie, meno ricche comunque dei lavori per la linea di filobus le cui strutture rattristano da alcuni anni la città  ma che non si decide a funzionare. Qui l’altro ieri l’assessore alla Polizia urbana (tal Lucio Inguscio, già  consigliere Udc, poi An, quindi Pdl e come tale assessore alle Politiche abitative, che aveva dovuto abbandonare a seguito di un scandaletto di favoritismi, poi rientrato nella stessa giunta dopo un anno) uscente e ricandidato ha fatto una pubblica reprimenda al comandante della Polizia urbana, in quanto i vigili avevano osato multare le auto in doppia fila vicino al suo (dell’assessore alla Polizia urbana) comitato elettorale. 
In questo coacervo di contraddizioni Lecce si appresta al rito delle elezioni amministrative. Lecce è storicamente una città  di destra, nel senso che i centri di potere (i famosi poteri – mica tanto – occulti: le banche, i palazzinari, gli imprenditori che campano di opere pubbliche, la curia, i professionisti che campano di incarichi pubblici, i clienti di tutti costoro) sono talmente influenti da determinare la conservazione dello status quo. Lecce è stata l’ultimo capoluogo in Italia ad avere un sindaco monarchico, sopravvissuto anche al mitico Lauro, ed è stata sempre amministrata dalla destra, salvo un triennio di centrosinistra dovuto ai litigi tra finiani e berlusconiani che si presentarono divisi favorendo la vittoria di un socialista storico, Stefano Salvemini, un preside in pensione, ribattezzato il sindaco galantuomo, galantuomo al punto che i poteri forti gli impedirono di terminare il mandato, sfiduciato dagli stessi suoi compagni socialisti, i quali a quei poteri non erano certo insensibili.
Il primo atto del rito si è consumato con le primarie del centrosinistra, subite dal Pd per evitare una frattura definitiva con il gruppo formatosi intorno a Carlo Salvemini, figliolo del sindaco-galantuomo, già  consigliere comunale e segretario cittadino del Pd, poi candidato alle regionali nella “Puglia per Vendola”, il quale è riuscito a coagulare un significativo movimento progressista, al quale hanno aderito – seppur con qualche ritardo – Sel e la Federazione della sinistra. Alle primarie, oltre a Salvemini, si sono presentate la candidata del Pd Loredana Capone, vicepresidente della giunta Vendola, e all’ultimo momento Sabrina Sansonetti dell’Idv (amministratrice di Innova Puglia, società  in house della Regione, che fa capo all’assessorato di Loredana Capone), esplicita candidatura di servizio alla Capone. Vendola, nonostante Sel appoggiasse Salvemini, aveva dichiarato la propria neutralità . Risultati delle primarie: votanti 7.814 (11.900 nel 2007); Capone 3.743, Salvemini 3.210, Sansonetti 810 voti: la candidatura di servizio è servita.
Il secondo atto delle elezioni, le primarie del centrodestra, le prime in Puglia: Paolo Perrone, Pdl, sindaco uscente, figliolo di un vecchio deputato Dc, famiglia con interessi in molti settori economici, già  vicesindaco della Poli Bortone con la quale è poi entrato in conflitto fino ad espellere dalla propria giunta gli uomini della Poli, con la quale comunque ha ricompattato, dopo le primarie; Paolo Pagliaro detto il Berlusconcino, proprietario della più seguita emittente locale (Telerama, ribattezzata Teletrama a causa dell’uso e consumo personale che ne fa Pagliaro) e di varie radio, inventore di un risibile progetto separatista che ha lanciato la Regione Salento e per il quale hanno chiesto il referendum (inammissibile, e lo si sapeva da sempre) decine di sindaci di tutti i partiti; ed infine Gigi Rizzo, consigliere comunale Udc uscente.
Risultati: votanti 17.139 (e non ha partecipato Io Sud della Poli Bortone); Perrone 14.335, Pagliaro 2.041, Rizzo 403. Con questo risultato, Perrone ha avvertito non tanto i propri competitors alle primarie i quali erano comunque rassegnati e puntavano alla visibilità , e nemmeno tanto il centrosinistra come Annibale con gli elefanti ad atterrire i Romani, quanto ad avvertire tutti e chiunque: il più forte sono indiscutibilmente io, se qualcuno è indeciso ne prenda atto.
Ora attendiamo il terzo atto: i candidati sono Loredana Capone, appoggiata da sette liste (il Pd; Lecce bene comune di Salvemini con dentro Federazione della sinistra, Sel e gli uomini di Dario Stefà no, potente assessore regionale vicino all’Udc e a Vendola; l’Idv; il Psi; tre liste civiche); Paolo Perrone, sostenuto da otto liste (Pdl; Io Sud; Fli; il Movimento Regione Salento di Pagliaro), ma tutti gli alleati sono contrari alla Regione Salento; una lista ispirata dall’ex ministro Raffaele Fitto; tre liste civiche. Il candidato dell’Udc è Luigi Melica, figliolo di un sindaco democristiano fine anni Ottanta, ordinario di diritto costituzionale nell’Ateneo salentino, già  sostenitore del referendum (costituzionalmente inammissibile e tale infatti dichiarato dalla Corte costituzionale) per il Salento Regione. Ci sono poi un giovane avvocato, Maurizio Buccarella, per la lista Cinque stelle; un professore, Andrea Valerini, per i comunisti di Rizzi; un cane sciolto, ex assessore della Poli Bortone.
La campagna elettorale di Perrone si va svolgendo in tono minore, come di chi sa di avere la vittoria già  in tasca. Ovviamente i candidati delle varie liste, soprattutto gli amministratori uscenti e gli assessori anche di giunte precedenti, stanno aggredendo l’elettorato di ogni ordine e grado in virtù del clientelismo diffuso che hanno sistematicamente praticato e con fantasmagoriche promesse di favori futuri.
Loredana Capone e il Pd si lasciano continuamente intrappolare dalle polemiche minute, sul colore dei manifesti di Perrone e simili, giocano di rimessa sulle proposte degli altri, senza mettere fuori i denti sul malgoverno delle uscenti amministrazioni e soprattutto senza uno straccio di progetto per la città .
Il livello della campagna elettorale è da salotto di Maria De Filippi. Un esempio, sparato in prima del quotidiano locale: «Ecco i programmi “copia e incolla” di Perrone e Capone», «Chi copia chi? È polemica a distanza tra Perrone e Capone. Per rispondere a quest’ultima che lo accusava di aver copiato il suo programma elettorale, Perrone ieri ha convocato una conferenza stampa per dimostrare come la rivale abbia copiato Pisapia». 
L’unica novità  è costituita dalla lista di Salvemini la quale, pur avendo in parte perduta la capacità  attrattiva della fase delle primarie, ha conservato lo spirito innovativo che l’ha caratterizzata; «Partecipazione e condivisione», dice Sandro Presicce, giovane avvocato presidente di una associazione di consumatori, presente in questi anni nei movimenti pacifisti, per i beni comuni, per l’egualitarismo, «sono la prima parola d’ordine della lista Lecce Bene Comune, che in maniera partecipata e condivisa si propone di ricostruire un senso di comunità  e sovvertire il modello di governo che ha caratterizzato le amministrazioni degli ultimi 15 anni. Immaginare la città  non come un insieme di singoli interessi privati o di consorteria, ma come un bene comune da costruire insieme».
Un programma ambizioso che a qualcuno deve aver fatto paura, tant’è che ad una candidata di questa lista, Adelaide Lanzilao, che aveva denunciato delle opacità  nell’iter di in bando comunale per l’assegnazione di case popolari, hanno fatto trovare sull’automobile una busta con un proiettile e un biglietto di minacce.


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LA CRISI politica che si è aperta dopo le elezioni assomiglia sempre più ad una partita di scacchi. Ognuno muove il proprio pedone, ma nessuno sembra in grado di arrivare in fondo. Di dare lo scacco matto. E la direzione del Partito Democratico ha plasticamente disegnato questa immagine. Una potenziale paralisi che contiene al suo interno il germe del ritorno al voto. Un rischio che tutti scansano ma che chiunque mette nel conto.

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