Una proposta ai Sì Tav Le ragioni degli altri con un bel referendum

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Nonostante questo, però, una classe politica responsabile dovrebbe fermarsi a pensare e provare a guardare le cose in una prospettiva diversa da quella, troppo comoda e troppo opportunistica per essere all’altezza del momento, di chi, trincerandosi dietro il dato formale, ripropone il copione stantio della “fermezza”, magari approfittando strumentalmente di alcuni sbandamenti del movimento. Ci sono almeno due buone ragioni per guardare alla vicenda No- Tav con occhiali differenti da quelli del custode della legalità  e dell’ordine pubblico. La prima è che, come è ormai chiaro a tutti, la crisi della democrazia rappresentativa è così avanzata da rendere legittimo l’interrogativo in ordine alla sua stessa sopravvivenza. Le ragioni di tale crisi sono più o meno note e a chi volesse farsene velocemente un’idea suggerisco la lettura di un recente, agile libretto proprio di Galli, Il disagio della la democrazia (Einaudi, 2011). La democrazia reale soffre, nonostante gli apparenti successi mietuti da ultimo sull’altra sponda del Mediterraneo, perché si sono prosciugate le fonti della sua legittimazione, a cominciare dai partiti politici, organismi ormai in stato comatoso: e anche l’esperienza del governo tecnico è molto indicativa di un’impasse di fronte alla quale non si può far finta di nulla, senza per questo necessariamente gridare al golpe. La seconda ragione è strettamente intrecciata con il grande tema dei beni comuni. Vi sono delle decisioni oggi che, a causa dell’ impatto ambientale, concentrano tutte (o buona parte) delle loro esternalità  negative su un determinato territorio il quale, dall’attuazione di quella decisione, rischia di vedere profondamente ed irreversibilmente modificata la propria fisionomia: e ciò a fronte di benefici (ad es., nel nostro caso, un collegamento superveloce con la Francia) che, ove pure vi fossero, sarebbero goduti da una platea assai più ampia di soggetti. Ora, non mi sembrerebbe poi così bizzarro, anzi la troverei una proposta squisitamente riformista, immaginare che, in situazioni di questo genere, la legge adottata dal Parlamento nazionale venisse sottoposta ad un referendum confermativo riservato ai soli abitanti del territorio sul quale le conseguenze più devastanti di quella decisione sono destinate a scaricarsi, un po’ sulla falsariga di quello che l’art.138 Cost. prevede, sia pure solo in via eventuale, per le leggi di revisione costituzionale. Insomma, al pari della Costituzione per il popolo nella sua interezza, il territorio, per un data comunità , rappresenta un bene comune: sicché, in casi del tipo di quelli dianzi rapidamente evocati, la volontà  generale espressa dai rappresentanti del popolo nelle forme della democrazi a rappresentativa andrebbe integrata da un surplus di volontà  generale espressa in forma diretta dalle popolazioni coinvolte dalla decisione. Ripeto: non mi pare che ci sia nulla di eversivo in una proposta del genere, anzi essa si muove entro l’orizzonte di una rivitalizzazione di quel modello del quale da ogni lato, o quasi, si costata, appunto, la crisi. Certo, non possediamo oggi un dispositivo istituzionale idoneo a metter capo ad una decisione giuridicamente vincolante: tuttavia, a parte l’indubbio effetto di moral suasion che l’esito della consultazione produrrebbe nei confronti dei vari attori, in ogni caso si potrebbe immaginare una sorta di gentlemen’s agreement , l’inosservanza del quale attiverebbe meccanismi di responsabilità  politica. Sposando questo approccio, la No-Tav, da problema si trasformerebbe in un’opportunità , aprendo la strada ad una stagione di riforme costituzionali che vadano anche nella direzione di un ampliamento degli strumenti di democrazia diretta e non soltanto, come accade da venti e più anni, di un rafforzamento dell’esecutivo e di una brutale semplificazione della rappresentanza politica, obiettivi perseguiti in modo maniacale senza che l’efficienza del nostro sistema ne abbia significativamente guadagnato. È molto probabile, però, che l’estesissimo fronte del Si-Tav non vorrà  neppure prendere in considerazione questa semplice proposta: con ciò confermando quello che ormai tutti sanno, ovvero che per la democrazia non vi è spazio nell’epoca della dittatura del capitale finanziario.


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