Da Pio IX a Wojtyla, le notti insonni dei camerieri Quando ci fu la breccia di Porta Pia Giuseppe Zangolini non riuscì nemmeno a radere il Santo Padre

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Questa istituzione venne riformata con il motu proprio Pontificalis Domus del 28 marzo 1968 da Paolo VI. È composta da ecclesiastici e da laici. A questi ultimi appartiene — è il suo titolo — l’«aiutante di camera» del Papa.
Tale incarico, ricoperto da Paolo Gabriele ora allo stato di fermo, è delicato: si tratta di uno dei laici più vicini al pontefice. Ha sostituito lo «storico» Angelo Gugel. Risiede nella Città  del Vaticano e il suo compito è proprio quello di assistere Sua Santità  nei vari momenti della giornata, dal mattino quando lo aiuta ad abbigliarsi alle udienze, dai pasti che gli serve ai viaggi, via via sino all’ora del sonno.
La storia degli aiutanti di camera è complessa e a volte non facile da ricostruire. Certo, un nome che subito salta alla mente è legato all’unità  d’Italia: è quello di Giuseppe Zangolini. Il poverino vegliò tutta la notte il pontefice nell’anticamera, perché Pio IX era agitato. Quella volta non erano gli attacchi epilettici a turbarlo ma l’esercito italiano ormai alle porte di Roma. L’aiutante ricordò che il pontefice si era alzato più volte, che si dibatteva continuamente nel letto non riuscendo a prendere sonno, tanto che non attese i colpi dell’artiglieria per svegliarsi. Alle 5 di quel fatidico 20 settembre 1870, allorché Zangolini entrò nella camera del Santo Padre, lo trovò in piedi, vestito di tutto punto. Non riuscì nemmeno a raderlo.
Ma se si torna indietro nel tempo, la qualifica di «aiutante di camera» non rispecchia quel che noi intendiamo. La famiglia pontificia si ingrossò molto durante il periodo avignonese (1306-1376) e Innocenzo VI respinse non poche persone che desideravano servire: erano troppe. Dalla collezione dei registri pontifici (è completa da Paolo IV, dall’anno 1555 in poi) conosciamo, tra l’altro, la situazione esistente durante i giorni del ricordato Papa. Nella sua «famiglia» vi erano — a prescindere da prelati, segretari, confessore eccetera — il maestro di camera, 5 camerieri di rango superiore, 12 altri camerieri con 2 domestici ciascuno, 24 ulteriori camerieri appartenenti alla nobiltà  con un servitore ciascuno, 5 aiutanti di camera. Certo, c’erano anche 7 medici e un farmacista, oltre 50 palafrenieri: ma questo è un organico del Rinascimento, quando si poteva scialare. Del resto, erano pagati in natura e soltanto con Urbano VIII (morto nel 1644) ci fu una parziale retribuzione in denaro, che diventò esclusiva soltanto con Pio VI (morto nel 1799).
Vale inoltre la pena ricordare la figura dei «camerieri segreti partecipanti», in vigore sino a qualche decennio fa. Alcuni di essi ricoprivano le tre cariche stabili: coppiere, segretario d’ambasciate e guardaroba. Il primo assisteva ai pranzi solenni il Papa e gli porgeva le bevande; teneva la palma e la candela di Sua Santità  nelle funzioni e, in mancanza del maestro di camera, ne faceva le veci. Al secondo, il segretario d’ambasciate, spettava presentare i doni che il pontefice inviava ai sovrani (residenti a Roma), ai cardinali e agli ambasciatori in partenza. Il terzo, legato al guardaroba, custodiva le cose del Papa e, solitamente, recava il cappello rosso ai cardinali. V’era anche una quarta figura di «cameriere segreto partecipante», senza funzione pubblica ma a disposizione del Santo Padre. Essi potevano diventare «segretari intimi» (accadde con Pio XI) o bibliotecari domestici; altre volte esercitavano l’ufficio di «scalchi segreti», ovvero soprintendevano alle cucine. E siccome qualcuno, come Alessandro VI, pare sia passato a miglior vita con l’aiuto del veleno — destinato a un cardinale, ma capitò un errore — cuochi e inservienti era bene sorvegliarli con uomini di particolare fiducia.


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