Il questore e la lapide per Pinelli “Pronti a un gesto di riconciliazione”

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MILANO – «Penseremo a un gesto di riconciliazione su Pinelli. Faremo una profonda riflessione sull’argomento». Ci volevano 40 anni dall’omicidio del commissario Luigi Calabresi, trucidato sotto casa in largo Cherubini il 17 maggio 1972. Ci volevano 42 anni e 5 mesi dal volo mortale del ferroviere anarchico Pino Pinelli da una finestra di via Fatebenefratelli. E un film perché si riaprissero le ferite e il dibattito sul “romanzo di una strage”. E perché un questore di Milano, Alessandro Marangoni, dicesse che l’ora per quel gesto, per quella riflessione, è matura.
Questore Marangoni, tre anni fa alla cerimonia in ricordo del marito, Gemma Capra Calabresi disse che non aveva nulla in contrario a una lapide in ricordo di Pinelli in questura. È possibile pensare a un vostro gesto di pacificazione?
«Guardi, per il commissario Calabresi noi abbiamo il nostro dolore. Quello di Gemma e dei figli è molto più profondo. E se la vedova disse quelle cose su Pinelli, lo fece con grande consapevolezza della verità  e conoscenza di suo marito. Mi colpì molto la stretta di mano di Gemma Capra e Licia Pinelli, tre anni fa al Quirinale, un atto concreto che seguiva quelle parole. Fatto col cuore. La verità  ha bisogno di questi gesti anche se è difficile che le ferite siano completamente rimarginate».
Appunto: è possibile, ora, un gesto della Questura? Che si dica che Pinelli non doveva morire, quella notte? Che il questore Guida non doveva parlare a caldo di suicidio e responsabilità  anarchiche a piazza Fontana? Che Calabresi fu lasciato solo contro l’aggressione di Lotta Continua? Che qualcuno dica: la polizia sbagliò?
«Ci penseremo, partendo da quelle parole di Gemma. Faremo una profonda riflessione. Sono, siamo, lo Stato. Io rappresento i 4mila poliziotti di Milano e la polizia italiana ne conta 100mila, quindi dobbiamo fare un ragionamento generale. Ma lo faremo. Dico anche che dichiarazioni come quelle del questore Guida, oggi, non avverrebbero più. Oggi abbiamo un rapporto più maturo e trasparente con la stampa sui nostri fatti. Anche se ci gridano ancora “polizia assassina”. Lo fecero anche quando uccisero Calabresi».
Chi è Luigi Calabresi per voi?
«Un eroe normale. Che viveva nel quotidiano, in tempi in cui l’avversario era nemico, e non voleva diventare eroe. E un eroe moderno. A scuola abbiamo studiato Enrico Toti e Pietro Micca, figure che fecero l’unità  d’Italia. Calabresi era uno che si alzava la mattina, magari imprecava contro la sveglia, faceva il suo lavoro con passione e umanità . E aveva fatto un giuramento, stare dalla parte dello Stato, fino in fondo e senza cambiare tavolo da gioco. Ma finì nel tritacarne politico».
Ha visto il film di Giordana?
«Visto. Fa pensare. Ho apprezzato la cura del particolare, dà  uno spaccato d’epoca. Anche se si può discutere sul fatto che non renda per intero la figura di Calabresi, o sulla teoria della doppia bomba. Mi dispiace che abbia riaperto ferite. Ma non bisogna avere paura della storia e avere l’animo sereno per leggere i fatti».
I condannati per l’omicidio Calabresi sono tutti fuori dal carcere. È giusto?
«Le sentenze e i provvedimenti di clemenza si condividono o no. Ma si accettano. Sono provvedimenti dello Stato a cui tutti possono accedere. C’è una verità  giudiziaria, ha indicato dei responsabili, è definitiva. Certo, è più facile rispettare le sentenze che si condividono. Con questo, non sto esprimendo giudizi».
Quello di largo Cherubini fu il primo omicidio selettivo dei terroristi. Oggi la polizia deve fronteggiare una nuova minaccia.
«Nella storia c’è stato sempre chi ha tentato di ribaltare col terrore lo Stato, i regimi, le monarchie. E chi fa il salto nel buio, scellerato, quando non crede più alle regole della democrazia. Anche oggi. Avevamo sconfitto il brigatismo e i suoi rigurgiti, la crisi ha fatto da brodo di coltura per l’insorgenza di certe attività . Ma lo Stato è attrezzato per annientare il terrorismo. “Non illudetevi”, ha detto il presidente Napolitano: ci dà  grande forza».
Anche la polizia è cambiata radicalmente dal 1972.
«Siamo cresciuti, anche nel rapporto con la gente, e abbiamo beneficiato del boom tecnologico. Il terrorismo rimane un avversario insidioso, che non ci mette la faccia, che colpisce alle spalle. Come Calabresi. O Adinolfi a Genova. Ma abbiamo enormi capacità  investigative, e migliore accortezza di giudizio».
Dunque, oggi, la Questura di Milano non ripeterebbe l’errore del 13 dicembre 1969, non direbbe più che la strage di piazza Fontana è anarchica?
«Accetto la provocazione. Rispondo che oggi la polizia è molto più cauta. La rivendicazione su Adinolfi è arrivata qui a Milano dopo cinque giorni dall’attentato. Nei quali non ci siamo sbilanciati, abbiamo aspettato. Siamo più esperti. E c’è un altro contesto storico».


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