Ma cosa sono i beni comuni?

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Esistono diverse interpretazioni relative ai “beni comuni”. In effetti questa dizione è ambigua; noi cercheremo di spiegare che cosa le scienze economiche e sociali intendono per “beni comuni” (o commons ) a livello internazionale, e come invece il significato di bene comune cambia in un’accezione giuridica molto diffusa in Italia, che però ci sembra limitativa e che è senz’altro differente da quella dibattuta nel mondo. In sintesi estrema: per gli economisti il common è una risorsa condivisa che dovrebbe essere gestita dalla comunità  di riferimento, per i giuristi (soprattutto in Italia) il bene comune è invece un diritto universale. Come vedremo, la questione definitoria non è sofistica o frivola, ma riguarda la precisione scientifica e ha conseguenze politiche. Per dirla con le parole di Stefano Rodotà , l’autorevole giurista che tra i primi ha avuto il merito di introdurre la questione dei beni comuni in Italia, «se la categoria dei beni comuni rimane nebulosa, e in essa si include tutto e il contrario di tutto,…. allora può ben accadere che si perda la capacità  di individuare proprio le situazioni nelle quali la qualità  “comune” di un bene può sprigionare tutta la sua forza». Commons, risorse condivise Per Elinor Ostrom, premio Nobel dell’economia, e per gli economisti e gli studiosi sociali dei beni comuni a livello internazionale, i commons sono risorse materiali o immateriali condivise, ovvero risorse che tendono a essere non esclusive e non rivali (un bene è “rivale” quando l’uso da parte di un soggetto impedisce l’uso da parte di un altro soggetto), e che quindi sono fruite da comunità  più o meno ampie. Occorre sottolineare che la definizione economica è nettamente distinta da quella morale e giuridica. Infatti non è detto che i beni comuni siano necessariamente anche un bene in senso morale; e non è detto neppure che costituiscano un diritto primario degli individui e dei cittadini. Un pascolo, per esempio, può essere un bene comune ma non è né buono né cattivo, e non è neppure un diritto primario. I beni comuni si distinguono in questo senso dai “beni di merito”, che – come l’acqua e il codice genetico – sono indispensabili per la sopravvivenza umana o hanno un alto valore morale o sociale, e che quindi devono essere tolti dal mercato e salvaguardati giuridicamente per garantirli a tutti gli esseri umani. A differenza dei beni meritevoli, la caratteristica specifica e peculiare (e positiva) dei beni comuni non è morale: consiste invece nel fatto che è difficile escludere qualcuno dall’utilizzarli, e che sono anche tendenzialmente non rivali, cioè possono essere fruiti contemporaneamente da più persone o da comunità  di utenti – come le conoscenze, Internet, l’ambiente, Wikipedia e le reti. Quindi la definizione di common della Ostrom è oggettiva, cioè relativa innanzitutto alle caratteristiche strutturali e funzionali intrinseche di certi beni rispetto ad altri. Ma i commons hanno una specificità  eccezionale: possono essere gestiti in maniera più efficiente, innovativa e sostenibile dalle comunità  di riferimento. E, reciprocamente, se invece sono gestiti dai privati o dallo Stato cioè in favore di élite privilegiate, private o pubbliche – in generale vengono gestiti in maniera non ottimale, cioè con sprechi e inefficienze e in modo non sostenibile nel tempo. Questa è la vera grande scoperta scientifica di Elinor Ostrom: non è vero che se i commons sono gestiti dalle comunità  allora vengono devastati, e che si verifica necessariamente la “tragedia dei beni comuni” come sosteneva la teoria dominante di Garrett Hardin. Non è vero, come suggeriva Hardin, che per gestire i beni comuni ed evitare la tragedia del sovraconsumo occorra privatizzarli o statalizzarli, cioè imporre delle regole esogene. Anzi è vero il contrario: le foreste gestite (o cogestite) dalle comunità  locali sono in generale (non sempre) gestite meglio e in maniera più sostenibile di quelle sotto il dominio dello stato o delle corporations . Internet deve il suo grande successo al fatto che è gestita dalle comunità  di scienziati, ricercatori, informatici, utenti, i quali impongono che i suoi standard non siano brevettati e siano aperti e gratuiti. Wikipedia è la principale enciclopedia al mondo ed è gestita in maniera aperta dalle comunità  di utenti e da una fondazione che li rappresenta. La scoperta della Ostrom è che le comunità  possono consolidare rapporti di fiducia reciproca e autoregolarsi grazie a interessi comuni, a pratiche comuni, alla comunicazione costante, a sperimentazioni per prova ed errori, e possono sviluppare competenze elevate. Il vantaggio rispetto ai privati e allo stato è che le comunità  hanno più interesse a conservare e sviluppare i beni comuni perché per loro i commons possono costituire risorse essenziali, e perché ne hanno esperienza diretta, e quindi in generale (anche se non sempre) le comunità  hanno la migliore competenza per gestire i “loro” commons in maniera sostenibile. Inoltre – e questo è l’altro fattore di novità  rivoluzionaria – la gestione comunitaria dei beni comuni comporta un nuovo modo di produzione cooperativo e non competitivo. Il messaggio della Ostrom deriva la sua forza diromenpte proprio da questi due fattori: la gestione comunitaria dei commons è più efficiente di quella privata e statale grazie a un modo di produzione autoregolato e fondato sulla cooperazione, sulla partecipazione, e su gerarchie concordate e non autoritarie (come nelle scienze e nel software open source ). È su questi elementi forti che le teorie della Ostrom si collegano in qualche modo alle teorie di Marx, che voleva che nel comunismo i mezzi di produzione diventassero comuni in quanto frutto della cooperazione sociale. L’economia policentrica e i semicommons Ostrom “ha scoperto” (e auspica) un’economia policentrica non più costretta al dilemma privato o stato8 ma fondata anche sulla proprietà  comune. Avverte che la questione dei beni comuni non è “arcaica” e non riguarda solo beni e modi di produzione “marginali o primitivi”, come i pascoli alpini o le zone costiere di pesca, ma riguarda anche Internet, l’ambiente, le scienze, il software e le stesse aziende: queste ultime sarebbero infatti dei semicommons, dei sistemi ibridi che combinano beni privati esclusivi e beni comuni9 . Ostrom avverte anche di non confondere i regimi di Common Property con quelli Open-Access. I regimi open access, ad accesso libero, sono quelli – come il mare aperto e l’atmosfera – in cui nessuno ha il diritto legale di escludere altri; al contrario i regimi di common property sono quelli in cui i membri di un determinato gruppo condividono la risorsa comune ma possono disporre anche dei diritti di esclusione dall’uso di quella risorsa. Enti per gestire i commons Le analisi sui commons sono riprese dall’imprenditore sociale Peter Barnes. Barnes suggerisce che per difendere e sviluppare i commons occorre che questi siano dati in proprietà  a delle fondazioni no profit che abbiano per statuto come scopo sociale quello di preservarli e svilupparli a favore delle comunità  e delle generazioni future. Le organizzazioni no profit dovrebbero essere completamente autonome dallo stato e dai privati, e potrebbero inoltre vendere sul mercato il surplus eventualmente disponibile a prezzi equi e non discriminatori, e redistribuire i proventi alle comunità . Il riferimento di Barnes è l’Alaska Permanent Fund Foundation che ogni anno remunera i cittadini con i dividendi derivati dai ricavi del petrolio dello Stato. A Napoli la gestione dell’acqua è stata finalmente affidata a un ente pubblico aperto alla partecipazione dei cittadini. Ma ci si potrebbe anche chiedere se non fosse possibile (e meglio) affidare la gestione dell’oro blu a una fondazione controllata direttamente dai cittadini e dal Comune, affrancata dai vincoli del diritto pubblico, e destinata a salvaguardare questo bene comune. L’intuizione di Barnes è geniale: usa il diritto borghese sulla proprietà  privata per proporre di stabilire il diritto delle comunità  a gestire i patrimoni comuni, come le risorse ambientali (per esempio l’acqua) e culturali (per esempio il copyright o i brevetti). In Italia la proposta di Barnes si sta concretizzando con il progetto di fondazione del Teatro Valle di Roma. Naturalmente la questione cruciale è che le fondazioni o le altre forme societarie, come le cooperative, siano controllate democraticamente dalle comunità  di riferimento e agiscano come fiduciarie responsabili in maniera trasparente del loro operato verso le stesse comunità . Il diritto ai beni comuni Per gli economisti i beni comuni sono risorse condivise: per la maggioranza dei giuristi (specialmente in Italia) i beni comuni sono invece, o devono diventare, diritti universali. Per i giuristi i beni comuni non devono essere ridotti a merci disponibili solo per chi ha il denaro per comprarli: sono invece beni essenziali su cui lo stato ha diritti prioritari per assicurare la loro disponibilità  universale. Questa interpretazione è meritoria perché punta a garantire beni indispensabili per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’umanità  sottraendoli a una logica di mercato e speculativa. D’altro lato però, forse particolarmente in Italia, l’interpretazione giuridica dei commons sorvola le analisi socio-economiche che da Ostrom in poi caratterizzano la ricerca scientifica internazionale. Secondo uno dei principali giuristi italiani, caposcuola delle concezioni giuridiche sui beni comuni nel nostro paese, Stefano Rodotà  che, come si è detto, ha il merito di avere “scoperto” per primo la questione complessa dei beni comuni in Italia: « … Si può dare una prima definizione dei beni comuni: sono quelli funzionali all’esercizio di diritti fondamentali e al libero sviluppo della personalità , che devono essere salvaguardati sottraendoli alla logica distruttiva del breve periodo, proiettando la loro tutela nel mondo più lontano, abitato dalle generazioni future. L’aggancio ai diritti fondamentali è essenziale». Dice inoltre Rodotà  a proposito dei commons : «L’ accento non è più posto sul soggetto proprietario, ma sulla funzione che un bene deve svolgere nella società . … I beni comuni sono a titolarità  diffusa, appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può vantare pretese esclusive». Abbiamo però già  visto che i beni comuni non sono necessariamente res nullius o beni ad accesso aperto. Cosa dovrebbe fare la sinistra Secondo noi la sinistra non dovrebbe solo difendere i diritti all’accesso ai beni comuni e ai beni di merito, ma dovrebbe soprattutto impegnarsi per attribuire alle comunità  i diritti di proprietà  dei commons – intesi come diritto al loro controllo strategico e alla gestione operativa – e dovrebbe incoraggiare la costituzione di un Terzo Settore di enti economici autonomi dallo stato e dai privati, come le fondazioni e le cooperative, per la salvaguardia e lo sviluppo di beni comuni come l’ambiente, la cultura, le scienze, Internet, l’informazione. Comunque la sinistra dovrebbe favorire la partecipazione dei lavoratori e degli utenti negli organismi decisionali privati e pubblici in cui si decidono i destini dei commons . La questione dei beni comuni è quindi innanzitutto una questione di democrazia economica. In questo senso credo che la sinistra debba approfondire le analisi della Ostrom ed elaborare ulteriormente i suggerimenti di Peter Barnes. * giornalista economico e saggista


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  1. dda
    dda 24 Gennaio, 2022, 11:45

    TIRANNIDE E DITTATURA: COSA SONO E QUALI RAPPORTI LE LEGANO?

    Si ha una tirannide quando qualcuno permane in un impiego/potere/ruolo della centralità pubblica oltre un tempo determinato, più del dovuto. Vi è un tiranno d’ordine superiore, nel livello più elevato, e molti tiranni d’ordine inferiore, nei livelli sottostanti. Da notare che un tiranno maximo non può affermarsi senza il concorso collettivo dei tanti tiranni minori. Nessuno da solo può imporsi sul popolo. Il tiranno maximo può attuare ogni suo volere solo disponendo della compiacenza dei tiranni minori, non a caso fidelizzati con particolari attenzioni e privilegi a partire dal loro definitivo ingresso in una casta, cosa altra rispetto al popolo.

    Così giunge la dittatura: una indebita ed ingiusta volontà legislativa imposta per il tramite di una casta di tiranni minori.

    Badiamo che la dittatura può avvenire sia in presenza d’un tiranno maximo, che mai restituisce i suoi poteri al popolo, che di un governante normalmente eletto e permanente per un tempo determinato. Entrambi, sia il tiranno manifesto che il democrata apparente, possono dettar leggi ingiustificate, inique e pesanti, soggioganti e vessatorie, facendo affidamento sulla casta dei piccoli tiranni: dei detentori a vita degli impieghi/poteri/ruoli detti pubblici. Sono i tiranni inferiori a creare la base, il supporto, il terreno, su cui chiunque, tiranno o governante temporaneo, può sviluppare la sua opera di oppressione di individui e popolo.

    Ripetiamolo.

    Una dittatura non può esistere senza il contributo di coloro che si sono impossessati della res publica. Questa va partecipata da quante più persone sia possibile per ottenere una società di soci paritari consapevoli e responsabili e non un popolo di ignari sudditi sottomessi. Il gran problema che ha continuato a precipitare il mondo, senza mai farlo ascendere verso situazioni migliori nonostante la caduta dichiarata di molte tirannidi e l’ascesa di altrettante “democrazie”, sta nel non aver notato l’importanza di quel complesso di impieghi/poteri/ruoli pubblici solo apparentemente secondari. Posseduti da alcuni, questi creano un capillare autoritarismo essi per primi ed il substrato per il sorgere di una incrollabile dittatura ai massimi livelli, in ambito legislativo.

    Concludiamo.

    Cultura, educazione, informazione sono ancora in mano agli assunti a vita in impieghi ch’eppure erano divenuti un pubblico dominio alla nascita della Repubblica. Noi umani, insoddisfatti di come vanno le cose, veniamo da loro regolarmente fuorviati. Colta questa terribile anomalia democratica, non possiamo non sostituirci ora noi cittadini ai burocrati carrieristi. I governi inizieranno ad impegnarsi al fin di scrivere leggi ben calibrate: che realizzino l’interesse della collettività ma non gravino spietate sulle persone.

    Se vogliamo che il mondo cessi di far pena e divenga una meraviglia, diamoci da fare in prima persona. Non lamentiamo più problemi, focalizziamoci sulla soluzione che tutti li dissolve, dismettiamo ora, tutti, i tiranni minori: gli assunti a vita in impieghi che solo pro tempore vanno partecipati. Apriamo la Banca del Pubblico Impiego ed iniziamo ad alternarci tra persone competenti, idonee, preparate, rigorosamente a tempo determinato. In capo a breve, il peso della vita diverrà d’incanto lieve e piacevole da portare.

    Danilo D’Antonio
    Monti del Terremoto

    Pacificamente, legalmente, civilmente,
    facciamo evolvere l’Italia e l’intero Pianeta.

    La Repubblica: accessibile, dinamica, fluida,
    osmotica, partecipata, vissuta. Fe-li-ce!

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  2. dda
    dda 24 Gennaio, 2022, 11:45

    LA REPUBBLICA CHE ANCORA NON C’È!

    Secondo voi cos’è meglio: farsi ingannare, tradire, truffare e derubare di qualcosa di gran valore per l’eternità o ad un certo punto risvegliarsi dal perfido incantesimo fattoci da coloro che hanno abusato del potere che avevano per mantenerci sudditi sottomessi?

    Se chiedete in giro cosa s’intenda con la parola “repubblica” vi verrà detto ch’essa è una “forma di governo”. Mbhé, non fatevi ingannare, tradire, truffare e derubare un sol istante di più. Non è ciò che s’intende, ciò che v’è stato messo a credere, ma il vero significato della parola Repubblica che bisogna riportare in auge, se vogliamo iniziare a vivere come da sempre avremmo dovuto.

    Liberi!

    Repubblica sorge dal latino Res Publica e vuol dir Cosa Pubblica: l’insieme di codici, enti, uffici, istituzioni, impieghi, poteri, redditi, beni, risorse che sono proprietà del Popolo, non a caso detto Sovrano, e che il Popolo può condividere grazie ad assegnazioni personali a tempo pre-determinato.

    La Repubblica non è affatto una “forma di governo”. Essa non si lascia rinchiudere in Parlamento ma la comunione d’essa si estende per l’intera comproprietà nazionale comprendente anche ogni apparato, ruolo e potere non per nulla detto PUBBLICO. E, come fanno Deputati e Presidenti, chiunque abbia avuto accesso ad un pubblico ruolo quel ruolo al Popolo deve restituire alla scadenza d’un temporaneo mandato.

    Altrimenti si scade nella tirannide, non è Democrazia. E la Res Publica si riduce ad essere res privata d’accesso ad altri con pari diritti e requisiti professionali. Un vero e proprio furto di Cosa Pubblica!

    Per la qual cosa, coloro che si sono impossessati, oltraggiando la Repubblica, cancellando la sua particolare identità e funzione, il suo significato e carattere, ben diversi rispetto al da lungo tempo caduto stato monarchico, quindi autentici despoti e tiranni, devono sortir fuori dai nostri santi Uffici Pubblici e restituire al Popolo Sovrano ciò che solo temporaneamente può essere concesso. Ogni contratto di lavoro pubblico che non s’inchini alla democratica regola della temporaneità dell’impiego è FUORI LEGGE!

    Si prenda dunque finalmente coscienza di quel che si è fatto.
    E ci si ravveda, prostrandosi davanti alla Repubblica Italiana!

    A breve vi saranno nugoli di Studi Legali che porranno ognuno di fronte alle proprie responsabilità. Non ci si faccia dunque trovare ancora in difetto, con le mani nel sacco della Repubblica! Perché nessuno può possedere un così sacro bene comune! NESSUNO! Ogni clessidra vede terminar la sua ora. Ed il tempo dei tiranni in vero scadde 75 anni fa. Non il solo monarca maximo fu cacciato ma ogni monarca: ogni presunstuoso prepotente che volesse rimanere in un ruolo pubblico per l’eternità.

    E tu, Popolo d’Italia, rendi onore alla tua Repubblica e riguadagnala.

    Esigila indietro e renditi conto di quanto poca cosa tu sia stato, di quanto dispotismo ed ingiustizia tu abbia subito e t’abbia tarpato le ali, di quanto tu sia stato addomesticato ed inculcato, sottostando per così lungo tempo ad una centralità finto pubblica composta al 99% da codesti, finora inamovibili, tiranni. Da costoro costantemente mal indirizzata.

    Dei pollitici (il cui valore reale si evince dal fatto che ancora tacciono tutto questo) per ora disinteressiamocene. A loro penseremo dopo: prima rimuoviamo i loro acritici e fedelissimi priebke. Una volta subentrati noi snowden in ogni pubblico impiego/potere, nessuno in Parlamento si permetterà più di eseguire gli ordini di cricche, elite, lobby, ordini e mafie ma farà esattamente il giusto e necessario.

    E nulla di più.

    Cari Soci italiani, scolpiamo nelle nostre menti queste parole: non importa tanto chi governa quanto chi sta intorno a chi governa. La punta (legislativa) d’un iceberg non va mai dove la massa sommersa (burocratico carrierista) non vuole. Conquistiamo dunque quella massa, facciamola emergere … ed avremo finalmente costruito la Repubblica Italiana!

    Danilo D’Antonio
    Monti del Terremoto

    Pacificamente, legalmente, civilmente,
    facciamo evolvere l’Italia e l’intero Pianeta.

    Evviva la Banca dei Pubblici Impieghi/Poteri/Redditi!

    La Repubblica: accessibile, dinamica, fluida,
    osmotica, partecipata, vissuta. Fe-li-ce!

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