Milano, sgomberata la torre E Pisapia: avrete un’ex fabbrica

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MILANO — Alle undici di sera, dopo una giornata interminabile, cominciata all’alba con lo sgombero, proseguita con le assemblee permanenti, le tante manifestazioni di solidarietà , la sfilata dei «big», l’arrivo di Giuliano Pisapia pronto a offrire uno spazio — tra applausi e fischi —, i ragazzi di Macao guardano la Torre che non è più loro. «Per noi Macao è ovunque». Sospirano. Ma non lasciano quel pezzo di strada conquistato a fatica. «Per ora non ce ne andiamo».
Dieci giorni di occupazione, ecco la storia (recente) della Torre Galfa (tra via Galvani e via Fara), costruita nel 1959, acquistata nel 2006 dalla Fondiaria Sai di Ligresti (48 milioni di euro) e occupata il 5 maggio dal collettivo «Lavoratori dell’arte» che ne ha fatto uno spazio di produzione culturale. Gli appelli contro lo sgombero, che avevano ricevuto il sostegno di Dario Fo, Lella Costa e degli Afterhours, oltre che di Facebook e Twitter, si infrangono di primo mattino. Sono le 6.30 quando polizia e carabinieri svegliano una ventina di «occupanti». Non ci sono tensioni, ma il tam tam della Rete raduna da subito qualche centinaio di giovani in strada. In nove vengono denunciati dalla polizia per occupazione abusiva. Tutti scelgono come legale di fiducia Mirko Mazzali, «l’avvocato del Leoncavallo» e dei movimenti milanesi, da un anno presidente della Commissione sicurezza di Palazzo Marino.
Ci vuole poco per capire che non è con lo sgombero che si chiude la vita di questo progetto chiamato Macao e che riunisce gruppi musicali, attori e designer in una sorta di «Teatro Valle» milanese. Dal grattacielo di trenta piani, quasi ridotto a uno scheletro da anni di abbandono, vengono portati fuori tavoli e sedie, divani e impianti per la musica. Via Galvani, trafficatissima strada che da via Melchiorre Gioia porta alla stazione Centrale, viene chiusa. Il benzinaio Esso resta aperto ma il titolare ospita i manifestanti sotto la tettoia, concede acqua e corrente elettrica. A mezzogiorno le prime assemblee. Si decide di trasformare via Galvani in una scuola dell’arte a cielo aperto. Si organizzano lezioni di «storia libera» e performance artistiche: ragazzi-cadaveri sull’asfalto per «la morte della cultura».
Il caso esplode anche a Palazzo Marino. Il sindaco riunisce gli assessori. La giunta dura quattro ore. Il clima è teso. Si rincorrono voci e pettegolezzi. «Il Comune sta cercando uno spazio», dicono i manifestanti. «Tra poco verrà  il sindaco», annuncia uno speaker. Sono le 18,30 quando Pisapia arriva in via Galvani. Lo accolgono con fischi e applausi. In strada ci sono anche ragazzi che hanno partecipato alla campagna elettorale di un anno fa che portò l’avvocato Pisapia a battere Letizia Moratti. Il sindaco lo riconosce: «Vi avevo detto di tirarmi per la giacchetta, e ora sono qui». Poi annuncia che il Comune è pronto a mettere a disposizione uno spazio all’ex area Ansaldo di via Tortona. Archeologia industriale nel quartiere di moda e design. L’idea è dell’assessore alla Cultura, Stefano Boeri (Pd). La risposta dei manifestanti è tiepida. L’assemblea decide che per ora si resta in strada. Concerto e musica in via Galvani (con l’incubo della pioggia). «Non fate troppo casino», dice il sindaco con una battuta. I tempi per il piano ex-Ansaldo non sono brevissimi.
L’idea è quella di assegnare lo spazio evitando il sistema dei bandi. Proprio come chiesto dai rappresentanti di Macao. L’opposizione di centrodestra parla di «istigazione a delinquere» e mancanza di «trasparenza ed equità ».


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