Moretti, capoclasse per la democrazia

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Protagonista assoluto di queste prime giornate, alla domanda di un quotidiano francese, se il ruolo di presidente della giuria è anche politico, Nanni Moretti, risponde così: «Dipende dal modo in cui lo si vuole intendere. In alcuni film, la dimensione politica è spesso troppo cerebrale, troppo poco sentita. C’è una mancanza di coinvolgimento personale… Si deve essere pragmatici e democratici, per principio è la maggioranza che decide». 
Cannes 65 si è aperto sotto al segno della politica, l’insediamento di Franà§ois Hollande all’Eliseo ha calamitato l’attenzione generale e, come nota più di qualcuno, probabilmente sarà  così anche nei prossimi giorni, con le prime verifiche post elettorali. Ma la politica da queste parti ha una fisionomia discreta, almeno nelle relazioni con la vita culturale non assume i contorni (pericolosamente) invasivi che ha da noi. 
Il testimone passa dunque al cinema, e al suo racconto del mondo. «Dietro a questo festival c’è l’importanza che la Francia ancora accorda al cinema», dice Moretti.
Fa male perciò la campagna accusatoria montata intorno a Matteo Garrone, poco prima del suo arrivo in concorso a Cannes con Reality, per il presunto «pizzo» pagato alla camorra sul set di Gomorra. «Sono stato a casa del boss per capire l’universo della camorra», ha dichiarato ed è andata così per ognuno dei suoi film, dai lontani tempi di Estate romana, Garrone ha bisogno di «immergersi» con tutti i rischi che ciò comporta nelle realtà  che racconta. Fino a farle sconfinare nella sua esistenza, magari peccando di ingenuità , ma che brutta quest’ansia nell’informazione di «strillare» lo scandalo a tutti i costi. 
«Vorrei trovare opere che sorprendano», dice ancora Nanni Moretti con la promessa di essere un presidente «molto democratico». «Sarò come un capoclasse, con gli altri giurati abbiamo deciso di guardare ognuno dei film con la stessa attenzione, e di riunirci ogni due giorni, per non dimenticare quei titoli che abbiamo visto per primi. Per fortuna i poteri di un presidente sono limitati». 
In comune, lui e gli altri della giuria – gli attori Diane Kruger, Emmanuelle Devos, Ewan Mc Gregor, Hani Abbass, i registi Alexander Payne, Raoul Peck, Andrea Arnold, e Jean Paul Gaultier – hanno proprio questo desiderio di farsi sorprendere. Cosa vuol dire? «Sono parole parole parole… Ognuno dice qualcosa prima del festival, quello che conta poi sono i film. E credo che un po’ tutti noi amiamo quelli che ci soprendono, che non si ha l’impressione di avere visto centinaia di volte». 
In fondo la giuria somiglia un po’ a un conclave … «Sì e infatti non capisco la novità  della conferenza stampa finale introdotta da Thierry Frémeaux. Quindici anni fa avevamo l’obbligo della riservatezza e del silenzio, ora è rimasto solo nel conclave vero, ci rivedremo perciò domenica 27».


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