Sugli «esodati» Fornero resta muta

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Il nodo dei cosiddetti «esodati» costituisce l’evidenza scientifica che la riforma delle pensioni targata Fornero-Monti «non è né giusta né equa». L’esatto opposto di quel che anche ieri il ministro del lavoro e il presidente dell’Inps hanno ripetuto all’unisono. 
Salvo poi dividersi proprio sugli «esodati». Che Fornero liquida con poche parole sprezzanti: «abbiamo 65.000 persone che vengono salvaguardate, ci dicono che non bastano e ci sono persone non incluse. Studieremo il problema. Non abbiamo ora nè numeri degli altri esodati nè accantonamento di risorse. Se dobbiamo trovare risorse, faremo». Mancava un «non mi seccate» e la frittata era fatta.
Antonio Mastrapasqua – fresco di riunificazione dell’Inps con l’Inpdap (previdenza dei dipendenti pubblici) e di altri istituti minori – nel corso dell’audizione alla Camera ha spiegato che va trovata «una soluzione per tutti», perché «nei processi di transizione chi è colto a metà  del suo passaggio personale deve essere assistito e garantito nei suoi diritti soggettivi. Deve essere assicurato il dovuto sostegno: è un atto di giustizia, di legalità  e di democrazia». Banalmente: se hai fatto dei contratti che prevedevano determinate condizioni, nemmeno lo Stato può stracciarli impunemente. Pioverebbero cause, a centinaia di migliaia, probabilmente vincenti senza troppi sforzi.
Non che Mastrapasqua critichi la riforma Fornero, per carità . Anzi: «le singole criticità  che si possono produrre, non devono oscurare il valore di una nuova norma di legge. Le leggi dello Stato sono il cemento su cui si costruisce la coesione». Anche quando la rompono? 
Anche i sindacati continuano a insistere sulla ricerca di una soluzione valida per tutta la platea reale, che va ben al di là  del preventivato da Fornero (anche questi «tecnici» sbagliano i calcoli). E il tono sembra salire: «il ministro parla senza sapere di cosa parla; o si trova una soluzione o è meglio che si sospenda subito la riforma degli ammortizzatori sociali perché le misure proposte non reggerebbero la situazione». Vero: la sostanziale cancellazione della cig straordinaria e della mobilità , da agosto in poi, lascerà  per strada decine di migliaia di lavoratori senza una copertura adeguata, sia come durata nel tempo che come entità  dell’assegno. Ma allora quali sono le «luci» nel testo del ddl che hanno motivato una cambiamento di giudizio – peraltro molto contestato dentro la Cgil – da parte della segreteria confederale?
Fra l’altro, il rapporto dell’Inps illumina una situazione previdenziale nota, ma comunque preoccupante. Qualcuno potrebbe trovare adeguato il «reddito pensionistico medio», che in Italia tocca i 1.131 euro al mese, ma fin dalle elementari ci hanno spiegato che la «media del pollo» è solo statistica. Il lieve aumento della «media», rispetto a due anni fa, è peraltro dovuto al fatto che i neopensionati percepiscono qualcosa in più di quelli deceduti (in media meno acculturati e impegnati in lavori meno qualificati). 
Ma il 17,2% dei pensionati italiani, ossia, 2,39 milioni di persone, percepiscono meno di 500 euro. E il 52% non arriva ai 1.000, mentre oltre il 77% resta sotto i 1.500. Solo il rimanente 23% supera questo livello; ma bisogna ricordare che la famigerata «riforma» del dicembre scorso blocca anche la rivalutazione degli assegni al di sopra dei 1.400 euro. Mentre tutti gli studi sulle necessità  minime vitali calcolano che il reddito minimo per un single dovrebbe essere di 1.700 euro al mese (2.400 la coppia).
Come giustamente fanno notare anche diverse associazioni di consumatori, oltre ai sindacati, il reddito dei pensionati «poveri» è più esposto all’aumento di prezzo dei generi di prima necessità , quelli che l’Istat classifica «a maggior frequenza di acquisto». Insomma, quel «carrello della spesa» che proprio non si può fare a meno di riempire ogni settimana.
Ci si dirà : beh, però bisognava salvare i conti pubblici… I conti dell’Inps, al netto di spese assistenziali che non gli competerebbero, sono in attivo. Quest’anno l’istituto registra un passivo di quasi 6 miliardi, ma solo per via della «riunificazione» con altri enti, che si sono trascinati dietro il loro debiti.


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