La maldestra invenzione di una tradizione ribelle

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Ai più l’autobiografia di Stefano Delle Chiaie L’aquila e il condor. Memorie di un militante politico, Sperling&Kupfer, pp. 341, euro 18,50), ex capo di Avanguardia nazionale, potrebbe interessare davvero poco. Ma la sua uscita è stata accompagnata da un piccolo giallo. Nella recensione pubblicata da «La Repubblica», a cura di Silvana Mazzocchi, si riportava che nella postfazione Delle Chiaie avesse confidato a Luca Telese «che i tempi gli sembravano maturi per ammettere che nella strage del ’69 aveva visto la mano degli ordinovisti veneti». La smentita dello stesso Delle Chiaie è giunta immediata. In effetti, la frase riportata non risultava nel testo. Alla fine, è stato reso pubblico un comunicato dove è sostenuto che si era solo trattato di «un disguido della casa editrice». Difficile non credere che quell’affermazione, per altro virgolettata, fosse, invece, stata registrata in uno dei colloqui preparatori del libro.
Tra massoni e servizi segreti
Nell’autobiografia in questione, comunque, delle Chiaie non esita a puntare il dito contro «Ordine nuovo», per i rapporti con i servizi segreti, e apertamente contro Guido Giannettini (l’agente Zeta del Sid) per aver partecipato il 18 aprile 1969 alla famosa riunione di Padova promossa da Franco Freda e Giovanni Ventura, in preparazione della successiva escalation di attentati (certamente quelli sui treni di agosto, come confessato da alcuni degli stessi autori). Giannettini, sostiene Delle Chiaie, fu per questa stessa ragione successivamente protetto dai vertici del Sid. In realtà  l’ex capo di Avanguardia nazionale, già  in una precedente intervista rilasciata (e mai smentita) all’ex missino e giornalista parlamentare Nicola Rao, comparsa nel 2008 tra le pagine de Il sangue e la celtica, aveva dichiarato che fu un errore «non essere intervenuti fisicamente su certe persone coinvolte in quei fatti». Persone che evidentemente conosceva. Colse anche l’occasione di precisare che disistimava «il Signor Facchini», uno dei massimi dirigenti di «Ordine nuovo». Guarda caso.
Per il resto l’autobiografia è una sequela di omissioni e fatti ricostruiti al limite della pura invenzione, per accreditare l’insostenibile, cioè la coerenza «rivoluzionaria» di Stefano Delle Chiaie. Impossibile, infatti, non vedere come la sua storia e quella di Avanguardia nazionale si siano intrecciate con tutte le possibili strutture di potere, in particolare quelle militari, non solo in questo Paese. 
Dai suoi stessi racconti emergono i tratti di una ben strana organizzazione, in cui il primo presidente, Sergio Pace, se la faceva con una loggia massonica, mentre un altro dirigente, Peppe Coltellacci, legatosi ai servizi segreti, pensava di proporre nell’estate del 1964, all’ombra del golpe del generale De Lorenzo, il sequestro di Aldo Moro. Il tutto consolidando rapporti strettissimi all’interno delle forze armate e con il principe golpista Junio Valerio Borghese, uomo di fiducia degli Stati Uniti (come ampiamente comprovato dalle carte del Dipartimento di stato americano), qui presentato alla stregua di un «rivoluzionario» teso nientemeno che al «ribaltamento dello Stato borghese» (con il contributo della P2). Decisamente surreale. Senza parlare dell’amicizia con Guérin Sérac, capo dell’Aginter Presse, una sorta di agenzia per i «lavori sporchi» collegata alla Cia, che peraltro finanziò lo stesso Delle Chiaie con un assegno di mille dollari, come accertato dalla magistratura. Anche la provocazione, compiuta nel 1965, con l’affissione da parte di Avanguardia nazionale di manifesti filocinesi inneggianti a Stalin, stampati a cura dell’Ufficio affari riservati (un episodio poco conosciuto preparatorio della strategia della tensione), nelle pagine del libro viene ridotta a una mossa per «ampliare le fasce extraparlamentari contro la partitocrazia». Così dicasi delle operazioni di infiltrazione a sinistra, come quelle di Piero Loredan in Veneto o Mario Merlino a Roma, assunte alla stregua di genuine conversioni (strano che Merlino militi ancora nell’area neofascista). Idem per i diversi incontri, a fini sempre «rivoluzionari», con agenti dei servizi segreti italiani. Alla faccia di Ordine nuovo. 
Con i gorilla sudamericani
Stefano Delle Chiaie e i suoi uomini operarono anche all’estero, prima in Spagna protetti dal regime franchista, poi in Sudamerica, al servizio di Pinochet, la cui sollevazione militare nel 1973 secondo il capo di Avanguardia nazionale fu addirittura «osteggiata dagli Stati Uniti» (povero Kissinger), poi in Costa Rica, in Argentina e in Bolivia. In Cile, quelli di Avanguardia nazionale furono reclutati dalla Dina, il servizio segreto, nella sezione incaricata di eliminare gli oppositori rifugiatisi all’estero, come Bernardo Leighton (l’ex-vice presidente del Cile) e sua moglie, a Roma il 6 ottobre 1975 (rimasero entrambi gravemente feriti) di cui delle Chiaie non dice nulla, dimenticando quanto confessato da Michael Townley, un cileno-americano agente della Dina, che ammise il suo ruolo di intermediario proprio con i neofascisti di Avanguardia nazionale, spostandosi a Roma nel luglio del 1975 per preparare l’attentato a Bernardo Leighton. Dichiarazioni giunte anni dopo, purtroppo, il processo, tenutosi a Roma nel 1987, in cui Delle Chiaie e Pierluigi Concutelli furono assolti per insufficienza di prove.
In Bolivia delle Chiaie partecipò, invece, nel luglio 1980 al cosiddetto «golpe della cocaina», portando al potere Luis Garcia Meza Tejada, con l’aiuto di neonazisti di vari paesi (tra loro anche il criminale di guerra Klaus Barbie) e dei gruppi paramilitari conosciuti come Los novios de la muerte (I fidanzati della morte), che si occuparono di eliminare i piccoli narcotrafficanti per poter giungere al controllo totale del mercato. Curiosa anche qui la lettura che ne viene data: «una rivoluzione contro la finanza internazionale».
Innumerevoli, infine, in tutto il libro le manipolazioni della verità . Solo per citarne alcune: lo studente socialista Paolo Rossi non morì affatto all’Università  di Roma nel 1966, come scritto, «spintonato dalla calca di studenti, tutti di sinistra» ma perché aggredito da numerosi fascisti che lo fecero precipitare giù da un muretto, come immortalato da diverse fotografie; il viaggio in Grecia di una cinquantina di dirigenti delle principali organizzazioni neofasciste italiane, nell’aprile del 1968, nel primo anniversario del golpe, non fu «una scampagnata», dato che alloggiarono per una settimana in una caserma dal colonnello Stylianos Pattakos; Claudia Ajello non era iscritta al Pci, ma infiltrata dal Sid (fatto emerso nel 1985 nell’istruttoria bis riguardo la strage dell’Italicus), non per carpire nei circoli greci «notizie sui latitanti neri», ma per l’esatto contrario, dato che al potere c’erano ancora i colonnelli e che la colonia degli studenti greci era composta di dissidenti del regime; in Spagna a Montejurra, il 9 maggio 1976, non «esplose» all’improvviso «uno scontro fisico e militare» con i carlisti di Carlos Hugo, ma si trattò di un agguato premeditato a colpi di pistola nei loro confronti. Anche qui numerose fotografie a ritrarre la scena, con in primo piano proprio Stefano Delle Chiae insieme ad Augusto Cauchi, Piero Carmassi, Mario Ricci, Giuseppe Calzona e Carlo Cicuttini.
Un piccolo gruppo di squadristi
Delle Chiaie, con i suoi 76 anni, insieme a Pino Rauti, ormai uno dei grandi «vecchi» del neofascismo italiano, cerca, infine, di farci credere che in Italia, nel contesto del «regime consociativo Dc-Pci», che secondo lui controllava tutti gli apparati statali e di polizia, la strategia della tensione non sia stata altro che una perfida macchinazione dei comunisti e che l’unica alternativa al sistema fosse stata in quegli anni rappresentata solo da Avanguardia nazionale. Una contro-storia, forse da tramandare alle nuove leve. Ma i fatti hanno solo detto di un piccolissimo gruppo di squadristi fascisti, buoni per tutte le stagioni, con la fissa del colpo di Stato, al servizio, nel nostro Paese e all’estero, di tutti i peggiori progetti reazionari.


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