Locomotiva su binario morto

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Renzo Mazzaro sulla soglia della pensione restituisce con I padroni del Veneto (Laterza, pagine 272, euro 16) l’esperienza giornalistica dentro e fuori il Palazzo alla luce della parabola del Nord Est, che sintetizza l’illusione in cui si è cullata tutta l’Italia postdemocristiana. È davvero un lungo racconto dei vent’anni che non hanno «rivoluzionato» il mondo fra Venezia e Roma. Una storia ricomposta attraverso i protagonisti, i luoghi, i destini. Perfino gli aneddoti e le vicende apparentemente meno cruciali. Mazzaro rilegge il «nanismo politico» dell’aggiornamento del modello veneto. Il doge Giancarlo Galan diventa ministro solo al tramonto di Berlusconi. E Luca Zaia è eletto governatore mentre si eclissa ogni velleità  federalista. Ma gli orfani della Dc di Bisaglia, Bernini e Fracanzani scontano anche il più feroce fai-da-te dell’economia locale. Spariscono le banche di riferimento fagocitate altrove, detta legge la finanza a senso unico e fioriscono «imprenditori» che cannibalizzano risorse pubbliche. Infine, la società  veneta ormai multietnica e globalizzata «lavora» senza più la rete di protezione: consuma anche la famiglia tradizionale come l’idea stessa di benessere. Il cronista Mazzaro testimonia l’eterna contraddizione del Veneto formato «locomotiva» che si arena nel binario morto del narcisismo. Ma soprattutto disvela i segreti di Pulcinella: la conquista della Save da parte di Enrico Marchi con la complicità  del centrosinistra; l’affare da 80 milioni all’anno (le assicurazioni degli ospedali) monopolizzato da Gianni Pesce; la mega-colata di cemento di Veneto City targata Giuseppe Stefanel, Enrico Marchi e Luigi Brugnaro con il supporto dell’ingegner Luigi Endrizzi e di Rinaldo Panzarini (ex direttore generale di Carisparmio approdato a Est Capital Sgr); i fili delle matasse fra soldi pubblici e giochi privati che riconducono sempre a Gian Michele Gambato, dirigente della Regione che presiede Confindustria Rovigo. È il Veneto sussidiario in cui si annidano mandarini, cricche e satrapie. Con la vocazione «istituzionale» a dividersi la torta perché a Nord Est la sinistra business-oriented ha anticipato dagli anni Novanta il «compromesso storico» fra Compagnia delle Opere e Lega delle cooperative. Il libro accende i riflettori sul «compagno M» di Tangentopoli e sulla carriera di Lino Brentan arrestato per le mazzette autostradali. Tuttavia, manca la vera «radiografia» dell’immobiliarismo. La Torre della Ricerca nell’ex zona industriale di Padova sarà  il San Raffaele del Veneto? Le rigenerazioni in laguna occultano conti in rosso? L’edilizia universitaria è ormai fuori controllo? Mazzaro tradisce la nostalgia per la svolta sfumata. Correva l’anno 1995 e si poteva vincere: bastava candidare Tina Anselmi presidente della Regione. Invece Elio Armano, segretario del Pds, «scomunicò» Rifondazione e gli altri strateghi della coalizione vollero Ettore Bentsik. Risultato: Galan al potere con il 38%, il professore dell’Ulivo al 34% e Paolo Cacciari al 6,8%. Da allora non c’è più alternativa. Le successive tre sconfitte elettorali, anzi, allargano il campo della spudorata autonomia della rappresentanza politica. È il Veneto «governato» dal consociativismo. Lo stesso che garantisce alle imprese di riferimento di attraversare indenni la crisi. Mazzaro disegna la geografia del flusso di denaro e individua i «nuovi padroni» svezzati nell’ultimo ventennio. Informazioni e interviste, scenari e confessioni, inchieste e analisi. I padroni del Veneto fa impallidire da questo punto di vista le celebrate firme dei grandi giornali, ma anche vanifica radicalmente la comunicazione votata agli stereotipi. Un saggio di come il cronista sia ancora di pubblica utilità . Ad altri, giovani eredi di Mazzaro, spetterà  presto il compito di raccontarci nel dettaglio come Legaland si sia trasformata nella succursale di Gomorra.


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