Siria, 7 morti nell’attacco a una tv Annan convoca Conferenza di pace

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Il giorno in cui un gruppo di mujaheddin a Damasco attacca la sede di una tv privata, sequestra parte del personale, lega sette fra giornalisti, tecnici e impiegati, e li passa sommariamente per le armi, poi fa esplodere i capannoni dell’emittente filogovernativa, il segretario di Stato americano Hillary Clinton ripesca dal cappello della diplomazia il moribondo piano di pace di Kofi Annan, nella speranza che, con qualche aggiustamento, il piano possa funzionare. La crisi siriana, col suo stillicidio quotidiano di morti — fra i 50 e i 100 — sfiora il punto di non ritorno, e le potenze coinvolte sembrano disposte a compiere il proverbiale passo indietro.
«Annan è in grado di trovare una soluzione», dice Clinton convinta che «la gravità  della questione imponga una svolta in tempi brevi». Infatti, da Ginevra, Annan invita nove Paesi a sedersi al tavolo di una conferenza di pace. Sotto le insegne del “Gruppo d’azione per la Siria”, sabato si riuniranno i membri permanenti del Consiglio di sicurezza — Usa, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina; due Paesi confinanti, direttamente interessati — Iraq e Turchia; e due rappresentanti della Lega Araba,
Kuwait e Qatar. Restano due convitati di pietra: Iran e Arabia Saudita. Proprio la loro inconciliabile rivalità  per il predominio del Golfo sta infiammando il conflitto siriano, e imprimendo la deriva settaria all’ostilità  fra sunniti e sciiti. Il primo è stato escluso per la ferma opposizione di Washington, Parigin e Londra; la seconda per preservare una dose di equidistanza. Agli altri il compito di concordare una «via d’uscita politica» alla crisi, con la cessazione immediata delle violenze da entrambe le parti, l’avvio di una transizione democratica, e il libero accesso degli aiuti umanitari alla popolazione civile.
E tuttavia la Conferenza si apre sullo sfondo di uno dei più cupi rapporti compilati dall’Onu, con il resoconto di una «pericolosa escalation della violenza» e di una «deriva settaria del conflitto». La commissione d’inchiesta sul massacro di 108 civili a Houla alza le braccia, nell’incapacità  di assegnare con certezza la colpa, malgrado «vi sia la possibilità  che forze leali al governo siano responsabili di molti morti». Ancora: «prende atto dell’aggravarsi della situazione, mentre le ostilità  da parte dei gruppi armati assumono i contorni di un’insurrezione, e l’afflusso di nuove armi, sia al governo sia ai gruppi armati, rischia di far precipitare la situazione nei prossimi mesi».
Soltanto ieri, gli attivisti comunicano l’uccisione di almeno 10 soldati in un’imboscata a Deir Ez Zor. Intanto da Homs resta inascoltato l’appello dei 400 cristiani e 400 sunniti intrappolati nella città  vecchia dove, stando all’agenzia Fides del Vaticano, «i gruppi armati si sono arroccati nel dedalo di viuzze dove non possono entrare mezzi militari pesanti». La Croce rossa tenta la mediazione. I giorni passano, le vittime aumentano.


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