Contro la crisi è con la forza del diritto che si evita il peggio

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Si tratta sempre di misure di carattere economico: aste rinviate e pressing sugli investitori professionali. Inoltre, una paziente opera di tessitura con i paesi del rigore, Germania, Olanda e Finlandia, tentando di far capire che la loro posizione di vantaggio potrebbe cambiare a loro danno. A noi sembra che, di fronte all’ostinata ed ingiustificata posizione dei mercati, si deve, dolorosamente, prendere atto che è del tutto inutile imporre sacrifici, spesso insopportabili, che vengono immediatamente mangiati dagli speculatori. 
E’ arrivato, in altri termini, il momento di disconoscere il principio della sovranità  dei giudizi dei mercati ed occorre invece far valere la sovranità  del diritto, sia interno, sia comunitario, sia internazionale. E’ il diritto, quello democratico, infatti, che deve proteggere i diritti fondamentali, non il mercato, che si occupa solo del profitto dei ricchi a discapito dei meno abbienti, attraverso la cieca e possente opera distruttiva della speculazione finanziaria. Si tenga presente che oggi la ricchezza degli speculatori, guidati da poche persone senza scrupoli, supera di dieci volte il prodotto interno lordo mondiale, mentre la mostruosa mole del capitale finanziario, pari a 600.000 miliardi di dollari gira per il mondo, senza avere alcun rapporto con l’economia reale, e ponendosi come obiettivo soltanto la produzione di capitale finanziario mediante lo stesso capitale finanziario.
L’effetto è di una gravità  senza precedenti: si tratta di un attentato alla vita, alla dignità  ed all’indipendenza dei cittadini e degli Stati.
Occorre allora sapere che quanto accade è in palese contrasto con tutte le Costituzioni europee, ed in particolare con la nostra, nonché con lo stesso Trattato dell’Unione Europea, nel testo attualmente vigente, che esprime, come da ultimo affermato dalla Corte, un diritto pubblico europeo dell’economia.
Basti pensare che, secondo l’art. 42 della nostra Costituzione, la proprietà  privata non è affatto un diritto inviolabile, ma è riconosciuta e garantita dalla legge soltanto per la sua «funzione sociale», mentre la proprietà  della ricchezza speculativa mira chiaramente ad una «funzione asociale»; e che, d’altro canto, l’art. 2, del Trattato dell’Unione Europea impone «uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività  economiche della Comunità …., un elevato livello di occupazione e protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità  della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà  tra gli Stati membri».
La questione, ovviamente, va posta innanzitutto a livello europeo, attraverso un rifondato modello di democrazia, in grado di rivalutare la posizione del parlamento e soprattutto di dare spazio agli strumenti partecipativi e di democrazia diretta. 
Per quanto riguarda il diritto interno, si potrebbe cominciare ad affermare per legge che le transazioni finanziarie a fini speculativi hanno causa illecita e sono pertanto affette da nullità  assoluta. Parimenti si dovrebbero dichiarare, sempre con legge, che i beni ambientali e culturali, che sono stati posti in vendita sulla base di due leggi del governo Berlusconi (legge n. 112 del 2002, istitutiva della Patrimonio Stato s.p.a., e decreto legislativo n. 85 del 2010, costitutivo del federalismo demaniale), sono invece inalienabili, inusucapibili ed inespropriabili nella maniera più assoluta, sono cioè beni comuni di appartenenza collettiva, come afferma la migliore dottrina; si dovrebbe con strumenti di democrazia diretta e partecipata fronteggiare gli attacchi al diritto al lavoro costituzionalmente garantiti e reagire alla distruzione dello Stato sociale (statale e locale) che si sta attuando in questi giorni con il fiscal compact e la spending review.
La speranza è che il popolo italiano comprenda finalmente che, in questo regime di mercato senza regole, il suo destino è atrocemente segnato, e che la volontà  popolare, che si esprime attraverso petizioni, proposte di legge e referendum abrogativi, è, comunque intangibile, come ha affermato in modo netto ed illuminante la scorsa settimana la Corte costituzionale, sancendo il cosiddetto “vincolo referendario” (sentenza 20 luglio 2012, n. 199), e chiarendo che la democrazia non si esaurisce nella sola rappresentanza, espressione oggi di un intreccio di tecnici calati dall’alto e di parlamentari cooptati.


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