Draghi: “L’euro non rischia se serve agiremo senza tabù ma ora via all’unione politica”

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«No, l’euro non è in pericolo». Interrogato su quanto la Bce potrebbe fare per sostenere l’economia, il suo presidente Mario Draghi dichiara «di non avere tabù». Dai vertici Ue a quelli dell’Eurogruppo, la crisi dell’Eurozona continua ad allarmare. Finora sembra che le disposizioni prese dalla Banca centrale europea siano state le sole a calmare i mercati; ma oggi c’è chi le rimprovera di non aver fatto di più. Il Fondo monetario internazionale ha riveduto al ribasso le sue previsioni di crescita a livello mondiale, a causa dell’Europa. Stiamo rischiando una recessione?
«No. Certo, dall’inizio dell’anno i rischi di deterioramento dell’economia che ci preoccupavano si sono in parte materializzati; la situazione è andata via via peggiorando, ma non al punto di sprofondare i Paesi dell’Unione monetaria nella recessione. Nelle nostre previsioni c’è tuttora un miglioramento molto graduale della situazione alla fine di quest’anno, o all’inizio del 2013».
Grazie alla Bce?
«L’abbassamento del tasso d’interesse della fine del 2011 e quello di luglio dovrebbero produrre i loro effetti, così come i prestiti triennali alle banche, decisi per scongiurare il rischio di restrizione del credito».
La Bce non dovrebbe fare di più per sostenere l’economia, come ha chiesto l’Fmi?
«Noi siamo molto aperti e non abbiamo tabù. Abbiamo deciso di ridurre i tassi d’interesse a meno dell’1%, perché per l’inizio del 2013 prevediamo un’inflazione vicina o anche inferiore al 2%; è anzi probabile un suo riflusso fin dal 2012. Il nostro mandato è mantenere la stabilità  dei prezzi, per evitare non solo l’eccesso di inflazione, ma anche il loro abbassamento generalizzato e globale. Se constateremo rischi di deflazione di questo tipo, entreremo in azione».
I mercati hanno salutato Consiglio europeo del 28 e 29 giugno, ma da allora hanno manifestato qualche dubbio.
«Il vertice è stato un successo. Mi sembra che per la prima volta si sia dato un messaggio chiaro: più Europa per uscire dalla crisi. Une serie di tappe per la creazione di un’Unione con quattro componenti: finanziaria, fiscale, economica e politica. E con strumenti concreti: un’unione finanziaria, un supervisore bancario e la creazione di fondi di soccorso in grado di ricapitalizzare le banche quando questa supervisione sarà  operante. E un calendario per l’attuazione di queste tappe».
Si tratta di soluzioni a lungo termine. E per gestire l’emergenza?
«Vorrei parlare della mia esperienza. Nel 1988 il Comitato Delors aveva tracciato il percorso verso l’unione mo-
con un obiettivo, un calendario e una serie di impegni da rispettare. Questa prospettiva è sfociata, nel 1992, nel Trattato di Maastricht. In quel periodo in Italia i tassi d’interesse dei prestiti erano altissimi; ma si sono ridotti bruscamente, prima ancora della diminuzione del deficit, che era all’11% del Pil quando l’Italia si è impegnata nel progetto di unione monetaria. Questo mi induce a pensare che se i Paesi si mostrano fermi nei loro impegni di lungo periodo, gli effetti si vedono anche nel
breve termine».
Si rimprovera alla Bce di non fare di più per gli Stati. Forse prima di agire attende gli sforzi da parte dei governi?
«Quest’idea di un mercanteggiamento tra gli Stati e la Bce si fonda su un equivoco. Il nostro mandato non è di risolvere i problemi degli Stati, bensì di assicurare la stabilità  dei prezzi e contribuire a quella del sistema finanziario, in piena indipendenza»
Cosa pensa del patto di crescita caro a Franà§ois Hollande?
«Sarà  sicuramente d’aiuto. Ma bisogna andare oltre. Ogni Stato deve fare la sua parte».
Pensa a riforme strutturali, più che a un rilancio in senso keynesiano?
«Sì, anche se si tende troppo spesso a focalizzarsi sulla riforma del mercato del lavoro, che non sempre si traduce in un miglioramento della competitività , dato che a volte le imprese approfittano delle situazioni di monopolio e delle rendite di posizione. Bisogna anche guardare ai mercati dei prodotti e dei servizi, e liberalizzare laddove è necessario. Politicamente, sono decisioni difficili da prendere. In questo senso sarebbe di grande aiuto un’agenda europea, così come un rafforzamento della capacità  decisionale comune a livello della Ue».
Dunque, il trionfo delle tesi liberiste?
«No. La fine di certe rendite di posizione è una questione di giustizia, sia per i lavoratori dipendenti che per gli imprenditori e per tutti i cittadini».
Cosa pensa della politica che si sta portando avanti attualmente in Francia?
«Mi rallegro per gli sforzi tesi al risanamento del bilancio, e anche per la priorità  alla crescita potenziale, che porrà  le basi per la ripresa. Ridurre l’indebitamento è indispensabile. Il Paese deve rispettare il proprio impegno a riportare il deficit al 3% del PIL entro il 2013, continuando così ad approfittare di tassi di interesse contenuti».
Lei è uno degli uomini più influenti d’Europa, ma non è stato eletto. Non pensa che questo sollevi un problema di legittimità  democratica?
«Sono consapevole dell’importanza di rendere conto del mio operato. Mi presento al Parlamento europeo una decina di volta all’anno. In termini di comunicazione siamo molto attivi, e saremo pronti a fare di più se i nostri poteri saranno rafforzati. Nelle condizioni straordinarie che viviamo oggi, la Bce deve prendere posizione su questioni che non possono essere risolte dalla politica monetaria, come ad esempio quella degli elevati deficit pubblici, della mancanza di competitività  o degli squilibri insostenibili,
a fronte dei rischi per la stabilità  finanziaria. Dobbiamo preservare l’euro: ciò fa parte del nostro mandato».
Al momento della sua nomina alla testa della Bce lei era considerato come il più tedesco degli italiani. Lo è tuttora?
«Lo lascio dire a lei! Noi dobbiamo mantenere la stabilità  dei prezzi nei due sensi. Dobbiamo fronteggiare i problemi così come si pongono, e agire senza pregiudizi».
In un certo senso, lei è molto tedesco quando sostiene gli appelli all’unione politica lanciati da Angela Merkel.
«A mio parere, il movimento verso un’unione di binetaria
lancio, finanziaria e politica è inevitabile, e condurrà  alla creazione di nuove entità  sopranazionali. Il trasferimento di sovranità  che ne consegue — ma preferirei parlare di condivisione — è al centro dell’attenzione in alcuni Paesi, mentre non lo è in altri. Ora, in tempi di globalizzazione, è precisamente attraverso questa condivisione che ogni Paese ha le maggiori probabilità  di salvaguardare la sua sovranità . A lungo termine, l’euro dovrà  essere fondato su una maggiore integrazione».
L’eventuale uscita dalla Grecia dall’Eurozona è di attualità ?
«Noi preferiamo, senza alcun equivoco, che la Grecia rimanga nell’Eurozona. Ma la decisione spetta al governo di Atene, che ha dichiarato il suo impegno e ora deve produrre i risultati. Quanto alla rinegoziazione del memorandum [per ammorbidire le riforme imposte al Paese] non prenderò nessuna posizione prima di aver visto il rapporto della “troika”».
I ministri delle finanze dell’Eurozona hanno messo a punto, venerdì 20 luglio, il piano di aiuti alle banche spagnole. Basterà  questo per evitare il naufragio del Paese?
«E’ importante il coinvolgimento dei creditori senior delle banche, che a parere della Bce, in caso di liquidazione di una banca dovrebbe essere possibile. I risparmiatori vanno protetti, ma i creditori dovrebbero essere associati alla soluzione della crisi, per limitare l’impegno dei contribuenti, che hanno già  pagato molto.
Pensa di partire serenamente per le vacanze estive?
«Non prevedo mai le mie vacanze, e parto solo per alcuni giorni. Una cosa è certa: non andrò in Polinesia. E’ troppo distante».
Dunque l’euro è sempre in pericolo?
«No, assolutamente no. Alcuni analisti prefigurano scenari di esplosione dell’Eurozona; ma chi lo fa disconosce il capitale politico che i nostri dirigenti hanno investito in quest’Unione, così come il sostegno degli europei. L’euro è irreversibile!».
Copyright Le Monde Traduzione di Elisabetta Horvat


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