Gay Talese

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Fedele italo-americano di una parrocchia irlandeseamericana e «attratto da persone che hanno deviato dalla retta via», il quasi quarantenne Gay Talese (reduce da Onora il padre, reportage tra giornalistico e romanzesco sulla vita del mafioso Joseph Bonanno) dedica nove anni della sua vita, dal 1971 al 1980, a un libro che immagina come un’inchiesta sulla «ridefinizione della morale in America» e che finisce per essere un vero e proprio ritratto del desiderio sessuale americano nell’epoca della sua liberazione. Le date estreme, simbolicamente, possono essere quelle di Playboy: dal primo numero del 1953 (famoso per la foto di Marilyn che indossa «null’altro che la musica trasmessa dalla radio») alla fastosa e un po’ stanca celebrazione del venticinquesimo anniversario, quando la figlia femminista di Hefner ha già  fondato la Playboy Foundation e una delle conigliette preferite si è tragicamente suicidata. Tre anni dopo scoppierà  l’Aids e il panorama cambierà  radicalmente.
Il libro comincia con una scena di masturbazione (un adolescente che nel 1953 si chiude in camera con una rivista di nudi femminili) e da lì comincia la tortuosa vicenda della lotta tra i paladini dell’erotismo e i bigotti censori. Per ogni nome che compare parte un flashback, di ogni pubblicazione o tendenza si vanno a cercare le radici, e così l’orizzonte temporale sprofonda nel passato: alle pin-up del tempo di guerra, indietro alle cartoline postali francesi dei primi Novecento, fino alla settecentesca Fanny Hill e addirittura alla setta erotica quattrocentesca dei Fratelli e Sorelle del Libero Spirito (quella di Hieronymus Bosch) coi loro santuari chiamati “paradisi”. Si parla della censura all’Ulisse negli anni Trenta, della morte di Wilhelm Reich (nel 1957) in un penitenziario della Pennsylvania, poi ci si spinge avanti fin dopo il Sessantotto e si ritorna ad Anthony Comstock, un feroce censore di fine Ottocento. La struttura del libro sembra divagante e disordinata ma in realtà  è calcolatissima: l’apparente disordine mima la fatica con cui la naturale voglia di sesso si districa dalle pastoie di una legislazione antiquata e contorta, le attuali repressioni
hanno origini lontane; a una lettura attenta si notano continui e sorprendenti incroci tra i personaggi, come per segnalare la fatalità  di un percorso. Con un modulo letterario raffinato, il libro si chiude ad anello: l’autore entra nel testo, parla di sé in terza persona e la rassegna dei personaggi finisce con lui. Incontra, venticinque anni dopo, il nervoso adolescente che si masturbava all’inizio; conosce la ragazza-copertina che era stata alimento di quelle estasi di carta ed è ormai «una donna sui quaranta, piuttosto piccola, grassoccia». Non senza umorismo Talese parla del lavoro di documentazione per il libro che stiamo leggendo, della sua tecnica di cronista come «osservatore partecipe» e dei sospetti che sia «una maniera ingegnosa per essere infedele alla moglie con la scusa della ricerca sessuologica». Va a visitare un campo nudisti che da ragazzo era stato il suo frutto proibito, si spoglia nudo e quando da una barca arrivano fischi di scherno «Talese ricambiò quello sguardo». L’ultima frase del libro trasforma il reportage in un romanzo di formazione.
L’ideologia sessuale di Talese è quella di un macho vecchio stile: convinto sostenitore dell’adulterio («per sua natura [il pene] non è un organo monogamo ») o ancor più, per prudenza, di quella sottospecie di adulterio che lui chiama la tecnica della «sovrimpressione», cioè pensare a donne bellissime e intraviste solo in effigie mentre si fa all’amore con la moglie («la forma di infedeltà  più diffusa e segreta che esista al mondo»).
Quando si chiede perché i maschi siano attratti dalla pornografia e dalla prostituzione molto più delle donne, non pensa alla maggiore complessità  del sesso femminile ma si risponde banalmente che «gli uomini sono naturalmente voyeur, le donne esibizioniste». È un maschio medio americano e la sua forza consiste nel non voler essere niente di più: non si impanca a perverso né a militante, il suo libro è il racconto di come gli esponenti della classe media, i professionisti abbastanza soddisfatti della moglie e della famiglia, abbiano gradatamente cambiato le loro abitudini e il modo di pensare al sesso. I protagonisti del libro, da una parte e dall’altra della barricata, sono in qualche modo degli estremisti: sia i feroci censori ossessionati dalla sessualità , sia i libertini a oltranza ossessionati dalla liberazione – ma il mutamento socialmente decisivo avviene nella massa, tanto più succube quanto più inconsapevole.
Quella di Talese è la neutralità  del buon sociologo che sa quanto contino, nelle epocali mutazioni psicologiche, i puri fattori circostanziali, scientifici o economici: l’invenzione della penicillina per curare le malattie veneree, le donne che durante la guerra escono di casa per andare a lavorare e cominciano a «pensare come un uomo», poi gli elettrodomestici che regalano tempo libero e infine la pillola, l’automazione e la settimana corta. Ha il gusto della precisa ricostruzione storica e del ritratto d’ambiente: per i giovani questo libro sarà  una scoperta, per quelli della mia generazione è una rievocazione nostalgica. Le riviste di nudi scultorei, spesso mascherate da pubblicazioni salutiste; le novelle di Boccaccio apparse su Playboy;
il primo film di Russ Meyer nel 1959 e il mercato americano dello skin flick; Maurice Girodias che nel 1961 trasferisce da Parigi a New York la sua Olympia Press e porta al Village «una copia spensierata della Rive Gauche »; Kennedy presidente fallico, Hoover sottoposto a uno spietato outing su Screw; e le cliniche sessuoterapiche, le riunioni di autocoscienza corporale, i centri massaggi e le saune; Hustler di Harry Flint, Liberating Masturbation di Betty Dodson e i reggiseni dati alle fiamme. Le leggi sempre più permissive e (per citare un celebre titolo di Charles Rembar) «la fine dell’oscenità  ».
Talese è un progressista, apprezza la coincidenza tra liberazione sessuale ed emancipazione politica: nel palazzo newyorkese dove ha sede la redazione di Screwsta anche il Partito comunista americano; la casa editrice che fa la fortuna di Bettie Page distribuisce anche il Daily Worker e una rivista contro la discriminazione razziale come Ebony; le comuni erotiche sono formate da transfughi delle proteste studentesche. Condanna il rigurgito censorio dell’epoca Nixon e sta dalla parte del piacere contro la cupezza moralistica della Nuova Sinistra. Ma è troppo intellettualmente onesto per nascondersi che si sta creando una forma di piacere indotto («più donne di quante potessero averne davvero, per mancanza di denaro, di tempo, di potenza sessuale o di effettivo desiderio»); il sesso diventa onnipotenza virtuale e i paradisi della carne possono trasformarsi in prigioni autodistruttive. Come le follie naziste sulla selezione genetica si ispiravano ai sogni fourieristi dell’Ottocento, così il sesso si fa metafora privilegiata del contrasto tra voglia infinita e coscienza del limite. Due sono le direzioni del delirio di onnipotenza raccontate nel libro: una è quella tutta irreale e in fondo misantropica incarnata da Hugh Hefner. Quoziente intellettivo 152, educato al metodismo fondamentalista e con «carenze sul piano emozionale», il direttore di Playboy diventa ricchissimo: nelle sue due mitiche Mansion (quella di Chicago e quella di Los Angeles) si circonda di ragazze così meravigliose da sembrare finte, periodicamente sostituite man mano che invecchiano; finestre chiuse, passa settimane senza nemmeno sapere che tempo fa fuori, stanza tappezzata di specchi e tv a circuito chiuso con telecamera puntata sul letto; eden privato, fantasie realizzate fino all’annullamento di ogni vitalità . L’altra direzione è quella sociale e utopista di John Williamson, fondatore del Sandstone Retreat, una comune erotica montana che si ispira alle teorie orgoniche di Reich: qui finisce l’uomo medio per eccellenza, un certo John Bullaro, assicuratore di Chicago trasferitosi a Los Angeles; Bullaro si sente culturalmente inferiore, concepisce la liberazione come un «dovere»; ma quando la moglie viene posseduta da un altro scoppia in una incontenibile umanissima gelosia; il suo matrimonio va a rotoli e, riflettendo più tardi, «quei mesi così eccitanti e liberatori, adesso gli sembrano solo un preludio alla rovina e al caos».
Talese è un maestro del New Journalism (alcune parti del libro furono anticipate su Esquire) e ci tiene a dichiarare le fonti: nessuna onniscienza romanzesca, tutto è frutto di interviste (con relativa liberatoria), di diari che i protagonisti gli hanno consentito di consultare, di ricerche in archivio e in biblioteca, di ricordi personali (a un certo punto si è perfino fatto assumere come impiegato in un centro massaggi). Nessun nome è inventato, tutte le storie sono reali. Eppure il libro ha un innegabile fascino romanzesco, le statistiche sociologiche e le disquisizioni legali precipitano continuamente in episodi emblematici e in personaggi a tutto tondo. La storia di John Bullaro sembra un capitolo aggiunto di Revolutionary Road, e l’indagine sulle sfumature psicologiche è intrisa di una sapienza letteraria che non c’è diario che tenga. La scrittura è densa di dettagli simbolici: l’adolescente che si masturba in camera sposta la rivista «in modo da evitare il lieve riflesso della lampada sulle pagine patinate», poi guarda il suo membro eretto che si staglia sul deserto di sabbia immortalato nella foto. Più dalle parti di Flaubert che di Kinsey. Nei centri massaggi i clienti abituali tengono «bottiglie del whisky preferito nello sgabuzzino della biancheria» e discutono di finanza; le terapeute manuali che si dedicano alle misericordiose masturbazioni sono definite «le Florence Nightingale del massaggio». Fino a un’immagine terribile nella sua mestizia: un’intellettuale frequentatrice di Sandstone che si dedica a convinte orge di gruppo e chiede nel buio per regolarsi, con bella voce educata e un po’ roca, «a chi tocca adesso?».


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