Legge elettorale, il Pdl apre Il Pd: basta con il doppio gioco

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ROMA — Il clima è teso, ma immaginare che la rottura della maggioranza sia ad un passo è arduo. Perché il Pdl frena, per cominciare. E perché il Pd, dopo aver sparato a pallettoni, ieri ha abbassato i toni. 
D’altra parte, dicono da entrambe le parti, assumersi oggi la responsabilità  di dire che l’esperienza del governo è finita è estremamente difficile. E questo nonostante le accuse reciproche di provocazione, tradimento, giochini e mezzucci. Che, da paciere, Pier Ferdinando Casini si incarica di derubricare a tensioni passeggere: «Sulla legge elettorale non ci interessano maggioranze di parte, ci interessa la massima condivisione», è la premessa, anche se «non mi meraviglia l’idea di un mega-premio di maggioranza al partito che vince, serve alla governabilità . Non ci trovo niente di lesivo e secondo i sondaggi il destinatario del premio non sarebbe il Pdl».
È un assist al Pdl (si sa che ai centristi l’idea di un sistema sostanzialmente alla tedesca con preferenze non dispiace) o comunque è un modo per rendere meno esplosivo l’impatto che la proposta di legge che il Pdl presenterà  in settimana al Senato può avere sul clima politico: «Mi ha chiamato Alfano sabato mattina per annunciarmi la sua proposta e mi ha garantito che non c’è volontà  di rottura. Se si programmasse un colpo di mano e la creazione di un nuovo asse Pdl-Lega avrebbe ragione Bersani. Ma non faccio il processo alle intenzioni». E questo nonostante che l’intervento di Renato Schifani di qualche giorno fa abbia agitato molto le acque: «Il Presidente del Senato ha sbagliato a entrare nel dibattito politico alludendo a riforme approvate a maggioranza».
E però, sia dall’entourage di Alfano che un po’ da tutto il Pdl l’assicurazione che non si intendono fare scherzi, che non si vuole votare a colpi di maggioranza una legge elettorale con Lega e Udc per mettere all’angolo il Pd è compatta: «Il nostro è un ddl aperto, abbiamo intenzione di discutere. Poi, seguendo un’indicazione di fatto venuta dal Presidente della Repubblica, si presenta un disegno di legge, si va avanti e si lascia decidere al Parlamento, se nel frattempo non avremo trovato un’intesa», spiega Ignazio La Russa. Perché è chiaro che la «minaccia» resta sullo sfondo, anche come arma di deterrenza nel caso in cui il Pd volesse — come alcuni nel Pdl temono — utilizzare lo scontro per dichiarare la fine dell’esperienza Abc e andare al voto con il Porcellum. «La sinistra non speri di escludere la Lega. Se il Pd porrà  veti, allora nulla di antidemocratico se si fanno le riforme con chi ci sta». 
Parole che inquietano il Pd perché, dice Nicola Latorre, «confermano il doppio gioco del Pdl teso a ingannare il Paese, da un lato sostengono Monti e dall’altro fanno asse con la Lega sulle riforme». Immediata dunque la replica di Maurizio Gasparri: «Il Pdl è chiaro. È Bersani che alimenta confusione per celare, senza riuscirci, la sua intenzione di andare al voto con la legge in vigore, dalla quale ritiene di trarre vantaggi».
Insomma, il ping-pong continua, e sarà  questa la settimana decisiva per capire se si va a un inasprimento dei toni che potrebbe rendere torrida l’estate e a rischio la prosecuzione della legislatura, o se i contatti sotterranei che pure continuano in questi giorni porteranno ad adottare in Comitato ristretto al Senato il testo del Pdl come base aperta per lavorare con i tempi necessari e senza scontri furiosi. Perché il rischio di trovarsi a crisi aperta con una situazione economica tutta da capire è altissimo. E lo sanno nel Pdl, come nel Pd.


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