La solitudine di Schwazer

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«Non chiedo riduzioni di pena». La procura di Bolzano apre un fascicolo su di lui per frode sportiva «Ho comprato l’epo in Turchia, ho fatto tutto da solo», l’atleta racconta in tv la sua versioneL’epo acquistata in Turchia. La difesa della compagna, la pattinatrice Carolina Kostner, che credeva fosse vitamina B12 il flacone della vergogna custodito in frigo accanto a latte e formaggio. E la conferma di un rapporto di collaborazione, seppur passata, con il medico del doping, Michele Ferrari, ritenuto «un grandissimo allenatore». 
La conferenza stampa di Alex Schwazer è un flusso ininterrotto di emozioni. Tra lacrime, lampi di onestà , consapevolezza della follia di un gesto che l’Italia sportiva difficilmente gli perdonerà . Voleva tutto Schwazer, ha perso tutto, in perenne contrasto tra le aspettative olimpiche di familiari e addetti ai lavori e il rifiuto per il suo lavoro, la nausea per allenamenti massacranti. Il doping serviva per la 20 km, «dove ci vuole una brillantezza diversa» mentre nella distanza più lunga, la 50 km, avrebbe potuto vincere anche senza barare. 
Ora la procura di Bolzano ha aperto un fascicolo su di lui per frode sportiva. «Non è facile per me, ma oggi sono qui per raccontarvi perché ho deciso di fare questo grande errore – ha esordito l’ex atleta dei Carabinieri – Sarò sincero con voi, spero che anche da parte vostra ci sia correttezza nel riportare quello che dirò». Ecco il racconto, lucido e dettagliato, sull’assunzione di epo. Un tarlo che frullava nella sua mente da tre anni. E l’acquisto della merce maledetta, ad Antalya, in Turchia. Le informazioni sull’uso se l’era procurate sul web. 
«La decisione l’ho presa da solo, non l’ho detto a nessuno, né alla famiglia, né alla mia fidanzata. Sono andato in Turchia da solo, a settembre, ad Antalya, ho preso l’eritropoietina in farmacia per 1500 euro e sono ritornato. Dopo è stato un momento bruttissimo. Non mi ero mai dopato, e stare solo in una stanza sapendo quello che stavo per fare è stato difficile, ero disperato. Il 13 luglio ho cominciato con le iniezioni di epo».
Alex piange. Racconta che non sarebbe comunque partito per la gara di Londra. Poi, la rassegna delle tre settimane di iniezioni proibite. Delle nottate in bianco, in attesa della visita dell’addetto al controllo antidoping della Wada. Delle bugie alla fidanzata. «Queste tre settimane sono state le più difficili della mia vita. La notte non dormivo perché sapevo che poteva venire un controllo antidoping. È stato difficilissimo, non sono andato alla 20 km non per il doping, ma per le giornate precedenti che mi avevano distrutto. Il 29 luglio mi sono fatto l’ultima iniezione e sono tornato a casa. Il giorno dopo ha suonato l’addetto del controllo antidoping, ma non avevo la forza di farmi negare pur potendolo fare. Non vedevo l’ora che finisse tutto, sapevo che sarei risultato positivo». Poi giura sulla sua «pulizia» a Pechino 2008, dove vinse la medaglia d’oro nella 50 chilometri di marcia. Il Cio in ogni caso fa sapere di voler ricanalizzare i suoi campioni di urina delle Olimpiadi asiatiche. 
I dubbi non svaniscono del tutto. Anzi aumentano quando Schwazer prova a rassicurare sulla sua frequentazione di Michele Ferrari, l’erede di Conconi, della «scuola» di Ferrara. «Conosco il personaggio, ma non ho preso farmaci da lui nel 2010. Ho incontrato Ferrari nel 2009 quando mi sono ritirato, ho solamente chiesto consigli tecnici in allenamento, poi non l’ho più sentito dall’inizio del 2011 quando ho saputo del casino con i ciclisti». 
Poi un passaggio pesante sulla capacità  professionale dei medici della federazione italiana. «Medici federali? Loro non allenano, non fanno programmi. Sono andato da Ferrari perché il culo che mi facevo ogni giorno avesse un senso. Perché anche Armstrong va da lui? La forza non scaturisce solo dal doping, ma anche dalla preparazione. Da chi dovevo andare? Ditemelo voi? Ditemi un tecnico di valore». 
C’è infine spazio anche per un messaggio per i giovani. «Spero che i giovani mi seguano nel senso di non fare quello che ho fatto io. Non vale la pena di mettere tutto in gioco per un trionfo. La vita è fatta di tante cose, famiglia, amici: giocarsi tutto come ho fatto io non ha senso. A Pechino ho vinto perché ero sereno ed è quella la chiave di tutto. Mi scuso e mi dispiace, ringrazio gli sponsor che mi sono rimasti vicini in questi periodi in cui le cose non andavano».


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