RITROVARE NIETZSCHE OLTRE IL NICHILISMO

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Prima di scoprire chi sia il bue squartato cui Sossio Giametta allude nel titolo del libro-intervista con Giuseppe Girgenti (Il bue squartato e altri macelli, Mursia), è bene premettere qualcosa sull’autore. Non abbastanza noto al pubblico – per una marcata autonomia rispetto ai riti dell’accademia e ai vincoli del politicamente corretto, di cui la parte finale del volume fornisce ampia testimonianza – Giametta è un saggista, scrittore e soprattutto traduttore tra i più prolifici e validi della cultura filosofica italiana. Autore di testi narrativi e di vari saggi, il suo lavoro più prezioso è costituito dalle traduzioni di classici di assoluta rilevanza come l’Ethica di Spinoza, Il Mondo come volontà  e rappresentazione di Schopenhauer e vari tomi dell’edizione critica di Nietzsche, del quale è uno dei maggiori conoscitori. È proprio il filosofo tedesco il “bue” del titolo – smembrato da una serie di interpretazioni parziali, più utili a fornire ragguagli sulla prospettiva degli interpreti che su quella del loro oggetto. Nessuna di esse – si pensi a quelle, celebri, di Heidegger, Jaspers, Bataille, Klossowski, Deleuze – riesce, secondo Giametta, a penetrare fino in fondo nel cuore della filosofia di Nietzsche.
Fermo restando che proprio questa inafferrabilità  – l’aver potuto dare luogo a letture tanto diverse ed anche opposte – è la prova più palese della straordinaria ricchezza della filosofia nietzscheana, lo strumento adoperato dall’autore per riscoprirla in tutta la sua complessità  è un metodo intensamente storico. Il segreto che resta ancora celato nella scrittura aforistica di Nietzsche è l’effetto ambivalente del rapporto con il suo tempo, in una modalità  che da un lato ne riporta impressi i segni e dall’altro, come accade ai grandi autori, si spinge oltre di esso. Se, come moralista, Nietzsche decostruisce i grandi apparati logici con cui il sapere filosofico, fin dalla sua matrice platonica, si difende dalla caoticità  dell’esperienza e dalla imprevedibilità  del divenire, come pensatore, elabora un lessico filosofico talmente nuovo da entrare in contraddizione con se stesso fino al punto di poter essere appropriato dalla propaganda fascista.
Dove porta – si chiede Giametta – la trasvalutazione di tutti i valori spirituali in semplici entità  fisiologiche? E come tenere insieme due vettori apparentemente contrastanti come quelli della volontà  di potenza e dell’eterno ritorno? Per cogliere il senso d’insieme della sua risposta bisogna collocarla all’interno della costellazione di pensiero tracciata nel libro. Essa, pur percorrendo l’intera tradizione filosofica, converge intorno ai quattro nomi di Bruno, Spinoza, Schopenhauer e appunto Nietzsche. Cosa li connette al di là  delle tante differenze di contesto e di ispirazione? Si tratta di una comune tendenza a situare l’uomo all’interno dell’universo biologico-naturale, sottraendogli la sua assoluta centralità  rispetto agli altri esseri viventi. Soltanto se riconosce il proprio radicamento nella falda della vita che lo assimila alle altre specie animali, l’uomo sarà  in grado di rompere la gabbia della propria determinazione, aprendosi a una possibilità  di scelta autonoma. In questo senso la sua libertà , ben diversa dal libero arbitrio della concezione cristiana e personalistica, fa tutt’uno con l’impulso della sua natura. In questo modo Giametta, allontanando Nietzsche dalle interpretazioni cristiane, lo sottrae, insieme, a quella radicalmente nichilistica. La forza della sua filosofia si gioca sulla possibilità , inedita e altamente problematica, di cercare il futuro dell’uomo non in una fuga da se stesso, ma nel nodo irresolubile che lo salda alla sua radice naturale.


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