QUEL PREZZO DELLA FURBIZIA

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Entro nel dolore piano. Un livido mi percorre da spalla a spalla, ma non è reale. È l’Emilia ferita che come una donna torna china dai campi, zoppicando stanca. Con la fierezza nello sguardo di una partigiana, con la forza di un'”azdora” che guida la famiglia, che ama il suo uomo, a cui piace vederlo sorridere, e farlo mangiare bene. Ma zoppica, è ferita. 
L’avevo osservata poco prima con la rabbia addosso per aver visto uccidere una ragazzina davanti ad una scuola, la rabbia di aver visto un’altra bomba. L’Emilia sa purtroppo bene cosa sono le bombe, ha pianto alla stazione e sui treni.
Non volevo scrivere, non volevo raccontare lo smarrimento dei suoi occhi, il senso di impotenza, di assoluto, di sospensione nell’assoluto. Non volevo entrare nella Rabbia.
Quella donna ferita, si è svegliata in un tendone, con le brandine allineate, come a L’Aquila come in tante, troppe altre, tragedie italiane. 
La polvere che arriva fino al palato nel gusto di talco va a sporcare i profumi lungo gli argini di queste sere di luce, va a sporcare quel senso di forza e saggezza contadina che in questi luoghi ha voluto fare le cose a “modo”, “un quel fat ban” perché durasse nel tempo e se possibile per sempre. 
Per sempre dicono gli sposi, e nello sguardo di alcune mogli ora c’è il vuoto.
Piange anche di rabbia l’Emilia, con gli occhi chiusi, sente il rumore, vede il contorcersi delle lamiere, dei capannoni… 
Mentre eravamo chinati al lavoro, giorno dopo giorno, con passione e dedizione, con entusiasmo ed onestà , qualcuno tra noi è si fatto plagiare, ha modificato man mano il suo pensiero: voleva essere più furbo. Più furbo degli altri, più furbo di tutti. 
La ferita più dolorosa è nel dubbio che qualcosa è stato fatto male, col sentimento marcio della furbizia, che qualche cosa prima si poteva fare, che qualcuno che doveva preoccuparsi del bene di tutti ha pensato solo al proprio. E non è solo la ferita dell’Emilia, è quella di un’Italia “furba” dove molte parole si rincorrono senza pudore, dove ci raccontano che la nostra economia è sana, che è colpa degli extracomunitari, che è colpa dei proprietari di televisioni, che è colpa dell’Europa, di qualcun altro, meno che nostra, perché in fondo la società  siamo noi. 
Ora di quella furbizia rimangono le carcasse di animali morti, tonnellate di cibo devastato, il paradosso amaro di vedere che tanti macchinari salvavita sono sepolti in una sensazione di lutto… Come noi in un’Italia di troppi terremoti, alluvioni, frane e lutti. 
Perché l’umanità  non capisce se non dopo la tragedia?
L’Emilia trema ancora, sa che ha ancora forza, molta forza, perché la vede negli occhi dei vigili del fuoco, in quella degli operai e degli imprenditori, la vede nel conforto di tanti da molte parti d’Italia, tanti uomini e donne che le sono venuti in aiuto; la ritrova nei bambini che giocano tra le tende, la sente la sera, quando vede la gente chiacchierare e pensare già  a ricostruire, a come ricominciare.
L’Emilia è forte ed orgogliosa, forse per questo, con il sorriso, e la bonarietà  di sempre chiede anche a tutti che non ci si trovi più a piangere in futuro, che qualche cosa cambi, che ritorni la saggezza, che ci sia la volontà  di prevenire, che ci sia cura per il territorio, lo chiede ai giovani in cui crede perché non si facciano mai ingannare dal desiderio di essere furbi ma si adoperino per curare il bene loro e dei loro cari.
E la terra trema ancora.


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