Una no-fly zone per proteggere Ankara

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Le nuove sanzioni statunitensi varate due giorni fa – contro la Siria ma anche contro Hezbollah e Iran – lo avevano già  detto chiaramente. Tuttavia sono le decisioni prese ieri a Istanbul al vertice Usa-Turchia – un punto di svolta – e le prossime che forse arriveranno già  oggi al mini-summit arabo che si terrà  in Arabia saudita, potrebbero dare il via libera a un primo intervento «internazionale» contro la Siria, nonostante l’opposizione di Russia e Cina. Sul tavolo c’è l’imposizione sulla Siria di una «no-fly zone» (zona di interdizione al volo). E la motivazione Washington e gli alleati potrebbero trovarla nella necessità  di «proteggere» l’amica Turchia, storico paese membro della Nato, dalle incursioni dei guerriglieri curdi del Pkk passati all’offensiva nelle scorse settimane. Ankara che nell’ultimo anno ha dato ogni possibile appoggio all’opposizione politica siriana e ai ribelli armati anti-Assad, ora si trova a dover fare i conti con la guerriglia curda, riarmata e motivata da Damasco, desiderosa di presentare il conto all’ex “amico” turco, il premier Erdogan. Secondo la stampa di Ankara, il governo avrebbe pronti piani di intervento militare in territorio siriano: lungo il confine, per creare una zona cuscinetto di 20 km, e nelle province del nord curdo, per impedire che diventino una base arretrata del Pkk. La Siria, ha affermato Hillary Clinton in una conferenza stampa congiunta con il capo della diplomazia turca Ahmet Davutoglu, non deve «diventare un santuario per i terroristi del Pkk». Poi il segretario di stato ha mostrato cautela sulla imposizione della «no-fly zone» sulla Siria, che avverrebbe in condizioni molto diverse da quelle di un anno fa in Libia. Il passo però è davvero vicino, come ha di fatto annunciato l’ex segretario alla difesa statunitense, William Cohen, in un’intervista a Bloomberg Television . «La violenza in Siria è così grave, credo che si assisterà  ad una spinta in favore dell’istituzione della no- fly zone», ha detto Cohen. Per l’ex segretario alla difesa la partecipazione americana a questa possibile operazione sarà  legata a quella degli alleati. «Non credo che gli Stati Uniti procederanno da soli». E non saranno da soli. Uno dei primi a mettersi l’elmetto è stato proprio il ministro degli esteri italiano Giulio Terzi. In una intervista il titolare della Farnesina ieri ha spiegato che la zona di interdizione al volo (per l’aviazione siriana) «può essere una carta necessaria per evitare questo massacro spaventoso». Libertà , diritti, democrazia. L’opposizione siriana sostiene che la lotta contro il regime di Assad continuerebbe su quelle basi. Temi che però non sembrano rientrare negli interessi sia degli americani che degli alleati di Damasco. Nel giardino siriano si giocano gli assetti strategici regionali, sulla base del confronto Usa-Iran. È stata sin troppo esplicita Hillary Clinton al termine del vertice in Turchia: l’obiettivo degli Usa è quello di «rompere i legami» fra la Siria, l’Iran e l’Hezbollah sciita libanese che «prolungano la vita del regime» di Damasco. «Occorre accelerare la fine del regime del presidente Assad che è un nostro obiettivo strategico… Dobbiamo continuare ad aumentare la pressione dall’esterno», ha spiegato. I siriani intanto continuano ad ammazzarsi tra di loro, con l’aiuto dei rispettivi «alleati» esterni. Ieri si è combattuto in diversi punti di Aleppo. I ribelli si sono ritirati dai quartieri strategici ma continuano ad impegnare le truppe governative in varie aree della città . L’Esercito libero siriano (Els), la milizia ribelle, sarebbe riuscita a riprendere qualche posizione strategica nella roccaforte di Salaheddin, ha detto Abdel Qader Saleh, un comandante del cosiddetto battaglione «Tawhid» dell’Esl. Scontri violenti sono avvenuti anche a Tamadoun (Damasco) e spari e alcune esplosioni sono state udite anche in altri settori della capitale. I civili fuggono come e dove possono dalla guerra. L’agenzia Onu per i profughi parla di altre migliaia di siriani che in questi ultimi giorni sono sfollati per sfuggire ai combattimenti, soprattutto a Aleppo.


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