Il vangelo secondo José

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La Plata, 16 febbraio 1976. Un corpo sfigurato dai proiettili viene ritrovato nei pressi dell’aeroporto della città  argentina, capitale della provincia di Buenos Aires. Si tratta di padre José Tedeschi, sacerdote di origine italiana, che viveva nel barrio di Villa Itati. Per ucciderlo hanno usato uno Sten, una mitragliatrice leggera con caricatore di lato con cui firmano gli assassinii i paramilitari della Triple A. Hanno già  mano libera prima del colpo di stato militare di Rafael Videla e soci, che avrà  luogo il 24 marzo dello stesso anno. Altrettanto indisturbata agisce un’altra banda fascista, la Concentrazione nazionale universitaria (Cnu), che mira a stroncare soprattutto l’opposizione studentesca. Tra il 1974 e il 1976 si macchia di un centinaio di crimini. Quelli accertati della Triple A sono oltre 680.
L’11 settembre 1973, Pinochet si è impadronito del Cile, riempiendo gli stadi di prigionieri destinati alla morte. Secondo lo schema che Washington ha previsto per il proprio «cortile di casa», il modello da seguire è quello. Si tratta di sterminare «la sovversione e il caos comunista per salvare l’Argentina e tutto l’Occidente cristiano». L’allora governatore militare della provincia di Buenos Aires spiega bene il programma: «Prima uccideremo tutti i sovversivi, poi uccideremo i loro collaboratori, poi i loro simpatizzanti, poi chi rimarrà  indifferente, infine uccideremo gli indecisi». Il più possibile senza clamore, però. In questo modo, durante la dittatura argentina (1976-’83) spariranno nel nulla oltre 30.000 persone, spesso sequestrate sui posti di lavoro o per strada, in pieno giorno.
L’azione dei commando si svolgeva però soprattutto di notte. La zona veniva occupata militarmente, gli assassini entravano nelle case con la forza, terrorizzavano gli abitanti, obbligavano anche i bambini ad assistere alle violenze. La vittima veniva bloccata, percossa, incappucciata e sequestrata per poi sparire nel nulla. I desaparecidos di origine italiana in Argentina furono 1600, il 5% del totale.
Nell’ambito del piano Condor – la rete criminale a guida Cia con cui le dittature sudamericane di allora si scambiavano i favori – scomparvero oppositori di tutti i paesi. Il corpo di un rapito a Buenos Aires, poteva così ricomparire sulle rive di un fiume uruguaiano, o in qualche parte del Cile, rendendo oltremodo difficile la possibilità  di identificazione.
Padre Tedeschi viene prelevato dai paramilitari il 2 febbraio ’76: da tre uomini, diranno le testimonianze e i rapporti di polizia, solo recentemente diventati accessibili alle organizzazioni per i diritti umani. Nato a Jelsi, in Molise, il 3 marzo 1934, Tedeschi si è trasferito con la famiglia a Buenos Aires all’età  di 16 anni. Nel 1954 si sposta ad Avellaneda, frequenta l’oratorio dei Salesiani, entra in seminario e viene consacrato sacerdote nel 1967. Subito abbandona la congregazione per vivere con i baraccati di Quilmes, convinto dalla Teologia della liberazione. Per mantenersi, fa il mobiliere.
Una persona «pericolosa», che guida le proteste dei 10.000 baraccati per chiedere «agua». Quando i sicari vengono a sequestrarlo, il sacerdote oppone resistenza, gli abitanti cercano di reagire. La giovane Juanita, incinta di 9 mesi, accorre. Il capo del commando paramilitare – racconterà  in seguito la ragazza – le punta il mitra alla tempia. Sente allora José Tedeschi che dice: «Lei no, questo no, prendete me». E se lo portano via, verso la tortura e la morte. Se avessero preso anche Juanita, sarebbe vissuta solo fino alla nascita del bambino, che probabilmente le sarebbe stato sottratto dai militari e dato a qualche famiglia di gerarchi o di complici.
«Fino a oggi, in base alle indagini del Dna e al coraggio delle Abuelas di Piazza di Maggio, sono stati ritrovati 106 nipoti sottratti, e c’è il sospetto che ve ne siano altri anche in Italia», ha ricordato Walter Veltroni. La figura di padre Tedeschi e le iniziative volte a far luce sul suo assassinio sono state al centro di una conferenza stampa che si è tenuta ieri a Roma alla Camera, alla presenza di alcuni deputati Pd, rappresentanti del governo, dell’associazione 24 marzo (Jorge Ithurburu), e della onlus che il Molise ha dedicato al sacerdote scomparso. Il 6 settembre, Franco Narducci (Pd) e il sottosegretario di stato per gli Affari esteri, Marta Dassù hanno presentato un’interpellanza parlamentare riguardo a eventuali iniziative da prendere sulla vicenda, a 36 anni dall’omicidio. Al governo argentino, si chiede l’apertura di un’indagine, alla magistratura italiana si domanda l’apertura di un procedimento giudiziario.
«José Tedeschi – ha precisato Carlos Cherniak, ministro consigliere dell’ambasciata argentina, responsabile per i diritti umani – è presente in due procedimenti in corso nel mio paese. Faceva parte dell'”altra chiesa”, che stava dalla parte dei poveri. L’Argentina – ha aggiunto – sta facendo i conti con la sua tragedia, non così si può dire per altri paesi. Oltre all’aspetto giudiziario, c’è il dato politico su cui riflettere. La repressione militare, da noi, è cominciata prima del golpe. La democrazia è morta un poco ogni giorno, in un silenzio complice a livello internazionale. Sarebbe ora che il Vaticano aprisse i suoi archivi, che il governo italiano consentisse l’accesso a quelli delle sue diplomazie».
Un impegno che Veltroni ha detto di assumersi, raccogliendo anche l’invito rivolto da Ithurburu all’ambasciata italiana in Argentina perché offra assistenza legale e protezione a chi si reca lì a deporre. Il ricordo del testimone-chiave Julio Lopez, scomparso nel 2006, è ancora vivo.


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