Intrecci a sinistra per l’universo irish

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Sono giorni frementi e di rinnovato fervore per il repubblicanesimo irlandese, in parte deluso dagli scarsi risultati ottenuti dallo Sinn Féin di Gerry Adams e Martin McGuinness in termini di giustizia e uguaglianza dei diritti civili in Irlanda del Nord. Delle tante promesse del processo di pace – di cui molte, purtroppo, ancora in attesa di realizzazione – si occupa una recente raccolta di saggi di Audra Mitchell, docente di relazioni internazionali all’università  di York, dal titolo Lost in Transformation. Violent Peace and Peaceful Conflict in Northern Ireland (Palgrave Macmillan, pp. 264, £ 60).
Fermenti in Rete
Nel riferirsi appunto al «peace process», la Mitchell dichiara di usare tale espressione «tra virgolette», poiché esiste il dubbio se tale processo sia o meno realmente «pacifico – se per pace si intende la non-violenza». È una tesi del testo, infatti, che i tentativi di stabilire una road map verso la pacificazione delle due comunità  in Irlanda del Nord, quella nazionalista e quella unionista, non abbiano mai escluso l’uso della violenza, anzi ne siano profondamente segnate; e la ricostituzione di una «nuova» Ira in questi giorni potrebbe esserne la conferma.
Del fermento in atto è anche testimone la rete. Basterà  una veloce visita a uno dei più importanti forum repubblicani, l’Irish Republican Socialist Forum (rsmforum.proboards.com/index.cgi) per comprendere come le basi del processo di pace siano, a molti anni dalla sua attuazione oramai, tutt’altro che solide e incrollabili, nonostante la generale volontà  del popolo irlandese di non piombare di nuovo negli anni bui e nella violenza dei Troubles.
Non è affatto bizzarro, poi, che sia proprio il repubblicanesimo di sinistra a ritrovare nuova linfa e vigore in questa fase storica controversa. Infatti, sia Sinn Féin sia gran parte dei gruppi di repubblicani dissidenti si muovono oramai da decenni sul solco di un radicalismo politico internazionalista che li colloca decisamente a sinistra, contrariamente a quanto avvenuto nella prima metà  del ventesimo secolo, quando il nazionalismo irlandese aveva una natura certamente più conservatrice. D’altro canto, a detta di molti osservatori, si stanno ricreando, in Irlanda del Nord, condizioni molto simili, dal punto di vista socio-economico, a quelle che hanno favorito l’ascesa dei movimenti di sinistra negli anni caldi del conflitto, soprattutto di quelli meno lontani dalla scelta della lotta armata da affiancare all’opzione politica.
Di questo movimento si occupa un brillante libro di Eoin O’Brien, dal titolo Sinn Féin and the Politics of Left Republicanism (Pluto Press, pp. 320, £ 17). Il «repubblicanesimo di sinistra», di cui O’Brien dà  una definizione molto ampia e inclusiva, implica l’impegno a costruire una «democrazia partecipativa, una sovranità  popolare e pluralista», a combattere «le posizioni di potere e la diseguaglianza che costituiscono l’architettura della società  moderna», ma anche «il radicalismo della New Left, l’anti-imperialismo, il femminismo, l’ecologismo, e altri movimenti popolari».
La «teoria delle fasi»
Il libro aiuta a comprendere non solo l’importanza della sinistra nella storia del movimento repubblicano, ma anche la sua centralità  nel dibattito sulla questione irlandese, come questo si è andato definendo perlomeno negli ultimi quarant’anni. Il repubblicanesimo irlandese è storicamente un arcipelago eterodosso. All’interno del suo sfaccettato universo si sono visti, e c’è da giurare che si vedranno ancora, molti distinguo, spesso di natura ideologica, che hanno a loro volta portato alla creazione di fazioni indipendenti e auto-legittimate. In particolare, è la storia dell’Ira ad esser costellata di scissioni. La più importante fu quella della fine degli anni ’60 tra Official e Provisional Ira, di cui il libro di O’Brien dà  conto in maniera chiara e puntuale.
Fu una scissione a carattere principalmente ideologico: da un lato la fazione marxista-leninista – con quartier generale a Dublino – la quale credeva nell’abbandono della lotta armata per la creazione di una repubblica socialista su basi non settarie, ovvero a partire dall’unificazione dei due proletariati, quello cattolico e quello protestante; dall’altro i repubblicani del Nord, quotidianamente sottoposti alle violenze, ai pogrom e alle aggressioni alla comunità  nazionalista da parte degli unionisti, dell’esercito inglese, e della polizia filo-britannica collusa con la comunità  lealista e con le forze paramilitari orangiste. Le nobilissime intenzioni degli Officials, che secondo O’Brien erano, nell’ordine, di «riformare lo stato del Nord, unire i proletariati nazionalista e lealista, riunificare i proletariati del Sud e del Nord» per poi «procedere verso la rivoluzione socialista e la riunificazione nazionale», si scontravano con le dinamiche molto più complesse della realtà  concreta.
La strategia degli Officials, nota come Stages Theory, ovvero «teoria delle fasi», mostrava di funzionare perfettamente a parole, ma lasciava trasparire gravi sviste anche teoriche. Tra queste la più importante fu forse il non prendere in considerazione la scarsa industrializzazione della società  irlandese, allora largamente rurale e solo parzialmente urbanizzata. Inoltre, tale teoria, indubbiamente poco flessibile, doveva scontrarsi con una realtà  fatta proprio di quelle divisioni settarie e di quei pregiudizi pseudo-religiosi che tenevano distanti i due proletariati del Nord, ma anche il presunto proletariato della Repubblica da quello idealmente unificato dell’Ulster.
«Provos» e «stickies»
Il gruppo che avrebbe dato vita, invece, alla Provisional Ira muoveva da considerazioni più pragmatiche e voleva inizialmente dare risposta a questioni pratiche di difesa di una comunità  sotto assedio. Anche i giovani del Nord si erano formati politicamente sui testi del caposcuola del repubblicanesimo irlandese di sinistra, il socialista sindacalista James Connolly, ma la loro visione politica si dimostrò più plastica di quella ortodossa degli Officials, avendo articolato giorno per giorno e sul campo l’organizzazione politica dentro le lotte per i diritti civili e la resistenza contro l’oppressore coloniale.
La virata a sinistra del repubblicanesimo seguiva, allora, i venti della situazione internazionale, e la scissione al suo interno fu solo in apparenza una divisone tra puristi del marxismo-leninismo che sostenevano la fine della lotta armata per privilegiare il conflitto di classe, e tradizionalisti della intenzionati a proseguire la guerra ad oltranza contro l’invasore inglese, fino alla sua cacciata dal suolo irlandese. Infatti anche i provos – ovvero i militanti della Provisional Ira, da cui peraltro nasce la tradizione ora maggioritaria dell’odierno Sinn Féin – e non solo gli stickies – ossia gli Officials – già  nei primi anni settanta affiancarono le lotte dei movimenti di sinistra per i diritti civili, lotte che segnarono profondamente la storia più recente del conflitto irlandese.
O’Brien fa giustamente risalire il left republicanism molto più indietro nel tempo rispetto a questa storica scissione, superando persino il confine ideale tracciato da un pensatore come James Connolly, da cui senza dubbio muove i passi un’idea moderna di repubblicanesimo di sinistra. Lo studioso tira in ballo, e non a torto, anche gli ideali non settari degli United Irishmen (1798), dei Feniani, e del socialismo di fine novecento.
È tuttavia indubbio che la vera svolta radicale, della quale sembra difficile immaginare ora un ripensamento, sia avvenuta proprio a ridosso della stagione più violenta del conflitto, ovvero verso la fine degli anni ’60 con la scissione tra Officials e Provisionals. Da allora, la stragrande maggioranza del movimento repubblicano si mosse, e continua a muoversi, all’interno di uno scenario di sinistra radicale. In questo contesto piace ricordare il primo discorso ufficiale da presidente di Sinn Féin all’Ard Fheis del 1983, in cui, nel dichiarare tra l’altro la legittimità  della lotta armata, Gerry Adams affermava che «l’ottenimento dell’indipendenza irlandese è un prerequisito nell’avanzamento verso una società  socialista e repubblicana».
Un presente tormentato
Sinn Féin è oggi ancora una forza decisamente collocata a sinistra, persegue tuttora l’obiettivo di una Irlanda unita, ma ha accantonato dopo decenni di sanguinoso conflitto l’opzione militare, decidendo di entrare, non senza risultati visibili, anche nell’agone politico parlamentare anche della Repubblica. La strategia di Adams e compagni, tuttavia, certamente coraggiosa e per molti versi lungimirante, rischia però di scontrarsi, come accadde agli Officials di allora, con una realtà  in cui il conflitto non appartiene certo alla memoria del passato, ma è pane quotidiano di un presente tuttora assai tormentato.

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Evoluzioni di un movimento

Con «The Lost Revolution: The Story of the Official IRA and the Workers’ Party» (Penguin Ireland, €pp. 688, euro 21.99) lo storico Brian Hanley della Queens’ University di Belfast e Scott Millar, giornalista del quotidiano «Irish Examiner», documentano dettagliatamente, e attraverso molte interviste, le vicende dell’Official Ira e il suo successivo evolversi nel Workers Party e nella Democratic Left, prima di dissolversi in gran parte nell’Irish Labour Party. Partendo dalla famosa scissione del 1969 all’interno dell’Ira, dovuta alla riformulazione ideologica in senso marxiano del repubblicanesimo irlandese, la politica degli Officials perse gradualmente di importanza in Irlanda del Nord, ma mantenne ancora per molti anni una certa influenza nella Repubblica, sia a livello parlamentare sia nel sindacalismo. Gli Officials puntarono su un’idea leninista di partito gerarchizzato, affiancato al suo interno da un movimento, detto «Group B», che ne mantenesse integro lo spirito rivoluzionario anche dal punto di vista paramilitare.


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