La spending review della camorra anche gli spacciatori diventano precari

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NAPOLI.Sulle piazze di Scampia non si erano mai visti giorni così grami. Le vedette non ce la fanno più a portare a casa una paga sicura, in carcere non entrano più “le settimane” per i detenuti, il popolo della droga è quasi alla fame. Per colpa della faida, la camorra taglia stipendi e arruola precari.
È arrivata la spending review anche per il crimine napoletano. In questa fine estate di guerra e di morti in quella città  nella città  che è la dannata Scampia si vende eroina a cottimo, le sentinelle sono pagate a ore, il “posto fisso” nel clan ormai non ce l’ha più nessuno. Sono tutti a tempo determinato al servizio di questo o di quell’altro boss, fra le fila dei Vanella Grassi o nel gruppo degli Abete Abbinante, nell’esercito dei Di Lauro e fra gli Amato Pagano, veri e presunti camorristi doc, “scissionisti” o quegli altri che chiamano “girati” perché si sono rivoltati ai loro ultimi alleati accordandosi con i vecchi nemici, tutte le varietà  e le razze della malavita più stracciona e violenta di Napoli.
È recessione e depressione sulle piazze di spaccio della più famigerata capitale italiana dei narcotici. Dopo sette omicidi nel territorio e uno fuori zona – sulla spiaggia di Terracina, il 23 agosto – e dopo l’assedio di poliziotti e carabinieri, fra le mostruosità  architettoniche delle Vele e le Case dei Puffi sta crollando all’improvviso quel sistema che resisteva da una vita, il welfare voluto da Raffaele Cutolo alla fine degli Anni Settanta con la sua Nuova camorra organizzata. Affiliati tutti garantiti, coperti e mantenuti, compresi fratelli e cugini e padri carcerati. È finita la festa nella Scampia del commercio all’ingrosso e della bustina porta a porta. È finita la giostra della droga smerciata alla luce del sole e consumata nelle “sale del buco” allestite fra capannoni deserti e scuole abbandonate, un tavolino per la compravendita e l’assaggio, nel locale dietro le coperte e i lettini, gli attaccapanni, gli specchi, a terra tappeti di siringhe e bottiglie di plastica bucate dove i più disperati tirano fumo di kobret, lo scarto dell’eroina. È crisi nera dentro quella che viene ancora definita camorra ma che in realtà  è un arcipelago banditesco, ottanta o forse anche cento fazioni che si mischiano e si fronteggiano per conquistare spaventose periferie e ammazzano per niente.
I primi “salari” a saltare sono stati quelli dei detenuti. «Non bisogna dare nulla perché non si sta facendo nulla, non ci sono più soldi e non ci si può rimettere di tasca propria», diceva ai suoi qualche settimana fa il boss Arcangelo Abete. Poi è toccato ai pali e ai sorveglianti delle piazze di Scampia, fino a qualche mese regolarmente stipendiati dalle loro organizzazioni e adesso pagati a giornata o anche a turno. Più ore di sorveglianza e più euro, meno ore di sorveglianza e meno euro. Chi fa la guardia di notte o all’alba raccatta gli straordinari. Una rivoluzione nel mondo del crimine. Con i pusher assoldati anche in altri quartieri o in altri paesi. A Casoria, ad Arzano, a Casandrino, a San Pietro a Patierno. Più fanno la spola fra un deposito e un cliente e più guadagnano, più producono delitto e più intascano. Una teppaglia usa e getta che sta segnando la fine di un’epoca, quella della “gente di fiducia”, seguaci fedeli, custodi di segreti e conti correnti, soci capaci di far girare con la droga 100 milioni di euro l’anno solo di coca e solo a Scampia. L’anno scorso hanno arrestato il “ragioniere” di un clan, Pasquale Russo. In tasca aveva il suo libro mastro: un giro di 8 milioni al mese. L’altro ieri i carabinieri ne hanno fermato un altro di contabile, Pasquale S. Addosso aveva cinque block notes con tutti i numeri: 27mila 120 euro di incassi da giugno fino ai primi di settembre. Erano segnate anche le uscite per i pasti dei pusher. Basta pranzi e cene ordinate al ristorante e consegnate a domicilio, solo pizze e panini da mangiare al volo.
A Scampia è l’ora degli avventizi, degli spacciatori a co.co.co, c’è perfino la comparsa degli extracomunitari chiamati a fare da staffetta per scortare un piccolo carico o accompagnare i clienti su per le scale di qualche covo fra i Sette Palazzi. «Il mercato si è parcellizzato e si sta registrando anche un calo di simpatia popolare nei confronti dei capiclan», racconta Antonio D’Amore, uno della comunità  “Il Pioppo”, lavoro di strada per strappare i ragazzi alla droga e i tossici alla morte. Chi non assicura la “campata” perde consenso, chi non paga puntuale ci rimette la faccia. Allo sportello anticamorra aperto qualche mese fa da Ciro Corona, un ragazzo di “Resistenza”, cominciano ad arrivare denunce sugli spacciatori. Nove a giugno, nove a luglio, nove ad agosto. Un piccolo miracolo, un altro segno che qualcosa lentamente sta cambiando anche qui nella Scampia dimenticata da tutti i sindaci di Napoli.
C’è chi ancora aspetta l’esercito e intanto quasi duecento uomini in divisa tengono nella morsa questo blocco della città , pattugliamenti, inseguimenti, perquisizioni. Da alcune settimane hanno buttato giù tre o quattro “narco sale” dove i ragazzi si facevano in tranquillità , stanze pulite, lo spacciatore che regalava una siringa monouso, qualcuno lì vicino pronto con il Narkan per iniettarlo in caso di overdose. Una era nel rione dei Fiori che qui tutti conoscono come “Terzo Mondo”, l’altra era “la valle dei sogni” alle spalle delle Case dei Puffi. È rimasta popolata da adolescenti ormai solo l’Istituto professionale artigianale, una scuola che è diventata proprietà  di un gruppo piccoli trafficanti. I ragazzi scavalcano la cancellata, s’inoltrano nel giardino, spariscono nelle aule e poi si strafanno di kobret.
Una nuova mappa dello spaccio per trovare “roba buona” adesso è su Facebook. I clienti li contattano in Rete. Messaggi cifrati, luoghi e prezzi. Sui social network si combatte anche una guerra virtuale, è la faida per via telematica. Con minacce, sfottò, avvertimenti. Alcuni ricordano su Facebok anche i loro morti.
È un’altra Scampia ed è sempre la stessa Scampia. Da quando hanno ricominciato a sparare i ragazzini del quartiere non vanno più a scuola. Il 41 per cento in meno del 2011 in quest’inizio di settembre. «Si nascondono, hanno paura, non li mandano in classe per paura di ritorsioni», spiega Ciro Corona che da anni con la sua associazione va in giro fra Le Vele e quei vialoni spettrali per buttare giù dal letto i tredicenni e i quindicenni figli dei boss e convincerli a entrare a scuola. Fino all’anno scorso Ciro e i suoi compagni riuscivano a portarne sui banchi sette su dieci puntuali alle 8,30, al suono della campanella. In questi giorni i figli della camorra stanno rintanati nelle loro case bunker, terrorizzati. I loro padri spostano le centrali del traffico verso Melito di Napoli, i pusher si inventano basi mobili per lo spaccio, smerciano droga in movimento su motorini per sfuggire ai controlli. Corrono verso Chiaiano, là  dove qualche anno fa volevano costruire un’enorme discarica. E neanche si accorgono che passano in un altro mondo. Dentro tredici ettari di terra bellissima che una volta era dei Nuvoletta, mafia di alto rango. Oggi gli amici di Ciro in quella campagna raccolgono frutti dagli alberi. E poi fanno marmellate di pesca.


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