«Le nostre celle incivili» Napolitano chiede clemenza per i detenuti

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Il capo dello Stato si rivolge al Parlamento con «l’auspicio che proposte volte a incidere anche e soprattutto sulle cause strutturali della degenerazione dello stato delle carceri in Italia trovino sollecita approvazione». Riconosce al governo «uno sforzo intenso per intervenire in materia». Infine cita l’articolo 79 della Costituzione su amnistia e indulto che prevede l’approvazione con maggioranza dei due terzi di ogni Camera. Invita a riflettere sulla validità  di questo strumento e sulle misure di clemenza.
Fra gli indicatori della civiltà  di una nazione c’è anche quello del funzionamento del suo sistema carcerario. Un sistema che da noi, lo sappiamo da un tempo infinito, è tale da collocarci ai livelli più bassi e mortificanti nelle graduatorie di tutto il mondo. «Una realtà  che non fa onore al nostro Paese, ma anzi ne ferisce la credibilità  internazionale e il rapporto con le istituzioni europee», dice Giorgio Napolitano.
Bisogna fare qualcosa. Presto. In Parlamento. Davanti al quale vanno portate e affrontate «proposte in grado di incidere anche e soprattutto sulle cause strutturali della degenerazione» attuale, in modo che in quella sede «trovino sollecita attuazione». A cominciare dai progetti di legge, «già  in avanzato stato di esame, per l’introduzione di pene alternative alla prigione». E vanno valutate poi, in questa legislatura ormai vicina al termine o nella prossima, «le questioni di un possibile, speciale ricorso a misure di clemenza». Cioè un’amnistia o un indulto. A costo di cambiare l’articolo 79 della Costituzione, che regola i due istituti con maglie troppo strette.
È «un auspicio», spiega la dichiarazione del Quirinale. In realtà , dati i toni di denuncia e di urgenza con cui è formulata, ha il carattere di una sollecitazione che non può essere lasciata inevasa dalla politica. Dunque impegnativa anche a futura memoria, appunto dopo il voto del 2013.
Il presidente della Repubblica ha affrontato il tema nel luglio scorso con un intervento pubblico a Palazzo Giustiniani, che è tra le sedi del Senato e quindi nell’ambito parlamentare, attribuendo così al suo «allarme e appello» quasi la valenza di un messaggio alle Camere. E di quella materia (che per lui seguiva il consigliere Loris D’Ambrosio, scomparso improvvisamente a luglio) ha riparlato ieri con una delegazione dei 120 giuristi e accademici firmatari di una lettera aperta sul più drammatico punto di ricaduta della crisi della nostra giustizia: le carceri.
Con loro il capo dello Stato ha «condiviso una dura analisi critica e l’espressione di una forte tensione istituzionale e morale» per l’universo carcerario com’è ora in Italia, ragionando sulle gravi insufficienze che lo penalizzano (e, per inciso, l’elevato numero di suicidi è un segnale tragico e che non può essere ulteriormente ignorato). Riconosce che negli ultimi mesi il governo e le forze che lo sostengono hanno compiuto «uno sforzo intenso per intervenire con proposte e interventi». Sono state dunque affrontate — «conseguendo già  dei risultati», sottolinea — «scottanti esigenze di riduzione della popolazione carceraria e di creazione di condizioni più civili per quanti scontano sanzioni detentive senza potersi riconoscere nella funzione rieducativa che la Costituzione assegna all’espiazione di condanne penali».
Ma è chiaro che, a fronte di 66.271 detenuti su 45.568 posti disponibili negli istituti di pena italiani, questi primi passi non bastano. Serve altro, per toccare le «cause strutturali» del problema. Cioè «pene alternative alla prigione». E, considerando l’emergenza in corso, soprattutto «l’attenzione del Parlamento su un possibile» (e da lui evidentemente incoraggiato) «ricorso alle misure di clemenza».
Qui bisognerà  riflettere, incita Napolitano, «sull’attuale formulazione dell’articolo 79 della Carta costituzionale», che proprio alla clemenza «oppone rilevanti ostacoli». Ecco il punto cruciale: l’ostacolo della maggioranza dei due terzi di voti parlamentari costituzionalmente indispensabile per la concessione di amnistie o indulti. Insomma, un vincolo a un ampio accordo politico che è sempre difficile costruire e contro il quale da anni si paralizza ogni proposta per sfoltire le carceri e umanizzarne la vita.
Il presidente — lo aveva scritto a fine luglio ai giuristi saliti ieri sul Colle — non esclude «pregiudizialmente» quei due tipi di provvedimento. Tuttavia, non vedendo allora le condizioni per metterli in cantiere, suggeriva altre strade innovative, già  in parte imboccate, per assicurare «diritti e dignità » a chi si ritrova chiuso in una cella. Adesso chiede al Parlamento di affrontare il problema alla radice.


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