l’Antipolitica alla prova del Palazzo

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«I pazzi! Stanno arrivando i pazzi!». L’incubo dei cerimoniosi custodi dell’Assemblea Regionale Siciliana si è avverato: un manipolo di «grillini» fa irruzione in quello che è il Palazzo più palazzo dei palazzi. E insieme con l’apprensione per le iniziative che potrebbero prendere i giovanotti del Movimento 5 Stelle, potenzialmente
devastanti per il clima di spagnolesche cortesie reciproche  che si respira da decenni, cresce una curiosità  maliziosa: «Possibile che resistano davvero alle lusinghe, ai privilegi, alle mollezze del potere?». Se già  si addolcirono i normanni… Certo, i sondaggi avevano segnalato l’arrivo di una ondata di ira popolare destinata a travolgere
i vecchi partiti che da tanto tempo dominavano la politica isolana. E solo la scaramanzia aveva spinto molti, in testa a tutti il candidato della Destra e del Pdl Nello Musumeci, a ripetere davanti alle affollatissime adunate del comico genovese e alla crescente mobilitazione il ritornello «piazze piene, urne vuote». Sotto sotto speravano in tanti che finisse come alle Comunali di qualche mese fa, quando il M5S ce l’aveva fatta appena appena a passare il 4 per cento e non era riuscito a conquistare manco un seggio in Consiglio. Non è andata così.

Al contrario, il movimento grillino è da ieri, a dispetto di quanto speravano Gianfranco Micciché e Raffaele Lombardo, teorici e fondatori del partito del Sud che dovrebbe diventare il contraltare meridionalista della Lega Nord, la forza politica più votata dai siciliani. Chiamata ora a mantenere la prima delle promesse: scassare giorno dopo giorno le impalcature dorate di quello che il giornalista e scrittore Saverio Lodato battezzò un dì come «il Palazzo della Cuccagna». La proliferazione delle commissioni parlamentari la cui presidenza può portare a uno stipendio complessivo di 17.476 euro netti… I voti trasversali per salvare dalla decadenza perfino certi deputati ineleggibili o addirittura condannati… Le lunghe vacanze invernali che qualche anno fa andarono dal 21 dicembre al 12 febbraio per un totale di 53 giorni… Gli stipendi stratosferici dei funzionari…
Per non dire di certi ossequi. Beppe Grillo ha già  avvertito: «Chi entrerà  in Parlamento si toglierà  questo nomignolo ormai deleterio di onorevole: macché onorevole! Niente onorevole!». E se vale per Montecitorio o per Palazzo Madama, figurarsi per l’assemblea palermitana che pure se la tira proclamandosi «il più antico Parlamento d’Europa».
Gianfranco Micciché, che in gioventù ribolliva di indignazione nelle file di Lotta Continua e sa cosa vuol dire passare da incendiari a pompieri, ghigna: «Voglio vederli, i grillini, il giorno in cui si trovano in mano la busta paga con 15 mila euro netti al mese… Voglio vederli…». E c’è già  chi ironizza sul seriosissimo comunicato diffuso ieri dalla «Lista civica del Movimento 5 Stelle Milano». La quale, nella scia di Silvio Berlusconi (cui non garbava che i giornali, costretti alla sintesi, chiamassero i suoi «forzisti») intima ai cronisti «alla luce dell’enorme cambiamento proposto» a smetterla di chiamare «grillini» i grillini: la parola «è scorretta e anche un po’ offensiva, in quanto riduttiva e verticistica». Insomma: «è indispensabile che tutti voi giornalisti, redattori, caporedattori e direttori poniate la massima attenzione ad evitare parole che non appartengono alla realtà  del movimento». Quindi? Meglio «attivisti del Movimento 5 stelle». Sono 32 caratteri tipografici invece di 8 e sarebbe impossibile far i titoli? Amen.
Conosciuti i numeri della vittoria del centro sinistra e avuta conferma della difficoltà  da parte del nuovo presidente di avere la maggioranza all’Ars indispensabile per governare, hanno chiesto a Giancarlo Cancelleri, il geometra pizzuto di Caltanissetta che guidava la lista movimentista: «Cosa farete?». E lui: «Noi siamo zitelle acide. Non andiamo con nessuno. Ora dobbiamo cominciare a lavorare». Al che il nuovo presidente è sbottato: «Prima o poi dovranno dialogare. Non potranno restare zitelle acide per sempre».
C’è chi dice che gli servirebbe un miracolo mariano? Lui, il nuovo governatore, potrebbe sperarci sul serio. Uomo di molte curiosità , fedi e passioni, comunista, omosessuale, cattolico, acerrimo nemico della mafia, quando era sindaco a Gela aveva nella sua stanza, contò Francesco Bonazzi de L’Espresso addirittura «sette Madonne sette e una fotografia di Madre Teresa di Calcutta».
Spiegò allora all’inviato del settimanale: «Se sono vivo è anche perché i killer avevano scelto la festa di Maria per farmi fuori». E tale è il trasporto con cui parla di questa sua fede nella Beata Vergine che un blogger, ironizzando su un suo fioretto elettorale («Dirò addio al sesso e mi considererò sposato con la Sicilia, le siciliane e i siciliani. Guidare la cosa pubblica è come entrare in un convento e non ho neanche più l’età  per certe scorribande») lo ha raffigurato con un montaggio fotografico come una suora dorotea.
Che possa andare al Santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa per dedicare la Sicilia alla «Bedda Matri» è escluso: lo faceva Totò Cuffaro. E certo l’atto di devozione, che «Vasa-Vasa» accompagnò dalla recita d’una commossa poesia, non gli ha portato bene. Ma Rosario (non a caso) Crocetta, si era affidato sul serio in campagna elettorale alla Vergine Maria.
Il miracolo che gli ha permesso di vincere, spiega Pietro Vento, il direttore dell’istituto Demopolis molto attento ai movimenti elettorali isolani, gliel’ha regalata la fortissima astensione di quasi 2 milioni e mezzo di cittadini per il 45% convinti a restare a casa dalla «scarsa fiducia e insofferenza verso la classe politica», per il 27% dalla «delusione per il partito votato in passato» e per il 28% dall’idea che tanto «il voto non serve, non cambia le cose in Sicilia».
Stando ai numeri, hanno votato in tutto poco più di 2 milioni di persone su 4 milioni e 650 mila aventi diritto. E quel 31% circa preso dal candidato del centro-sinistra corrisponde più o meno a 650 mila voti. Circa 200 mila in meno di quelli (866.000) presi nel 2008 da Anna Finocchiaro che pure uscì tritata dallo scontro con l’allora trionfante Raffaele Lombardo, sostenuto anche da quell’Udc che ieri stava con Crocetta. E addirittura oltre 400 mila meno di Rita Borsellino che con le sue 1.078.000 preferenze venne largamente battuta da Cuffaro nelle «regionali» del 2006 vincendo in una sola provincia su nove, e cioè a Enna, grazie ai voti portati in dote da Mirello Crisafulli, il più chiacchierato dei leader della sinistra.
Fatti i conti, ha sibilato la senatrice berlusconiana Simona Vicari, commissario del Pdl a Palermo dopo la catastrofe delle «comunali», solo un siciliano su tre di quella metà  scarsa che ha votato, ha scelto il nuovo governatore. E se è vero che il Pd ha incassato il 13,5% di quel 47% dei votanti, come sottolineavano ieri pomeriggio i sostenitori affranti di Musumeci insistendo sul patto sotterraneo «Croc-ché» tra Crocetta e Micciché, ciò significa che il partito di Pier Luigi Bersani, al di là  dei toni trionfalistici, «ha preso solo il 6% scarso dei voti degli aventi diritto. Bel trionfo!».
Tutto vero. Ancora più impressionanti sono però i numeri che dimostrano come la destra abbia buttato via in questi anni, governando la regione e le città  come peggio non si poteva e accumulando debiti da capogiro negli enti e nelle municipalizzate fino a schiantarsi sotto la guida di Angelino Alfano alle recenti amministrative, un patrimonio politico ed elettorale enorme. Basti dire che, secondo i primi calcoli di «Demopolis» fatti quando ancora lo spoglio delle schede andava a rilento, dalle politiche del 2008 in cui stravinse incassando per la Camera 1.316.896 voti, il partito di Silvio Berlusconi ha perduto oltre un milione di consensi precipitando ieri a circa 280 mila. Un disastro paragonabile solo al tracollo della Dc al tramonto della I° Repubblica. O se volete a un altro traumatico smottamento avvenuto ieri a Palermo. Quello del partito di Antonio Di Pietro. Solo pochi mesi fa, spazzando via i risultati delle primarie a sinistra e imponendo la propria candidatura, il «dipietrista» (per quanto anomalo) Leoluca Orlando aveva conquistato al primo turno il 47,42% stracciando al ballottaggio Fabrizio Ferrandelli con il 72,43% delle preferenze. Un bottino durato pochi mesi: l’Italia dei Valori è malinconicamente precipitata intorno al 5%. Una batosta che dovrebbe fare riflettere anche i «web-boy-scout» del Movimento 5 Stelle: la Sicilia è una terra di subitanei mutamenti del clima e di improvvise eruzioni di collera … Può essere fin troppo generosa, nei suoi innamoramenti. Ma quando si sente tradita…
Gian Antonio Stella


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