L’ultima caccia al voto di Chavez “Ma rispettate l’esito delle elezioni”

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CARACAS — Un appello alla calma e al riconoscimento da parte di tutti del risultato delle elezioni (che in Italia si conoscerà  solo nelle prime ore del mattino di oggi) è il richiamo fatto da Hugo Chà¡vez nel corso di una conferenza stampa sabato sera nel palazzo presidenziale di Miraflores. Uno strappo alla regola, visto che la propaganda è vietata alla vigilia del voto, che Chà¡vez ha aggirato sostenendo di parlare come «capo di Stato» e non come «candidato». «Presidente se vince, sarà  il suo ultimo mandato?», gli è stato chiesto, e lui ha risposto citando i versi di un famosissimo tema musicale: «Vent’anni non sono niente». Chà¡vez è già  stato eletto
nel ‘98, nel 2000 e nel 2006, ed ora aspira ad un nuovo mandato di sei anni, grazie ad una Costituzione che non pone limiti alle ricandidature, per portare avanti la sua “rivoluzione bolivariana”, “il socialismo del XXI secolo”. Per la prima volta si è trovato di fronte un avversario giovane, Henrique Capriles, che ha riunito tutta l’opposizione
e ha puntato il dito sulle piaghe e le contraddizioni del regime chavista. Esplosione della criminalità , inflazione (28%), molta corruzione e un uso allegro dei fantastici introiti del petrolio. In campagna elettorale Chà¡vez ha fatto spesso “mea culpa” promettendo maggiore vigilanza e l’allontanamento dei funzionari incapaci o corrotti.
È il “mea culpa” che ha convinto Luis che vive a Petare, un megabarrio di case popolari e favelas nell’ovest chavista di Caracas. Petare è un caso nella storia recente del chavismo perché è il primo luogo dove il Psuv, partito socialista unito del Venezuela, è stato sconfitto nelle urne. Chà¡vez vi aveva imposto come sindaco il figlio di un mandarino di regime, il vecchio Rangel, un ex ministro della Difesa. Andò male e il giovanotto fu bocciato. Per Luis è la dimostrazione che c’è democrazia e che «il popolo può cacciare i dirigenti che sbagliano». «Questa non è Cuba — dice — io sono chavista, ma non rinuncio alla democrazia». Luis riconosce gli errori. La crescita ipertrofica dello Stato — anche a lui non dispiacerebbe un bell’impiego statale — la criminalità , l’inflazione, l’uso senza regole dei proventi del petrolio. Ma la cosa che più teme è il ritorno al potere della vecchia oligarchia. Di quelli che quando aveva vent’anni gli impedirono di andare all’Università  perché era povero. Che umiliavano e sfruttavano la classe lavoratrice. Chà¡vez ha aumentato il salario minimo e le ferie. Ha costruito case, lanciato programmi sociali per la sanità  e l’alfabetizzazione. Non tutto è stato fatto bene ma — dice Luis — «da quando sono nato trentacinque anni fa Chà¡vez è stato il primo presidente che si è occupato dei poveri, che ha lottato per la nostra indipendenza petrolifera».
I delusi sono molti e la partita elettorale si gioca tutta qui. Sul numero di coloro che — nonostante tutto — sono disposti a saltare il fosso, convinti che anche l’opzione Capriles non rappresenti necessariamente tornare ai governi dell’oligarchia filo americana e anti popolare.


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