Maroni congela la rottura: altri 100 giorni per il governatore

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MILANO — Dicono che a Roberto Maroni sia caduta la mascella per la sorpresa. Tutto si aspettava, il segretario leghista, tranne la più irricevibile delle proposte. Raccontano infatti i suoi fedelissimi che il governatore che fu «Celeste», Roberto Formigoni, abbia sì dato la sua disponibilità  a rassegnare le dimissioni. Ma soltanto nel caso in cui «noi leghisti ci impegnassimo fin d’ora a indicare lui come il nostro candidato presidente». Con un tono, per giunta, «ai limiti dell’arroganza». Quasi uno schiaffo, o una beffa, per un Carroccio che, non da ieri, rivendica lo scranno più alto della Lombardia per un proprio uomo.
Fatto sta che alla fine, dopo una giornata trascorsa quasi per intero a palazzo Grazioli con il governatore e il segretario pdl Angelino Alfano, Roberto Maroni ha chiuso un accordo. Parziale, certo. A tempo, nelle intenzioni del leader leghista. Ma che gli consente comunque di uscire dalla sede pdl con qualcosa da offrire al movimento: l’azzeramento completo della giunta lombarda, l’impegno alla riscrittura della legge elettorale e a definire un’agenda di provvedimenti da prendere non nel breve ma nel brevissimo tempo.
La strada, per i leghisti, è stretta. Il partito, nei social network, chiede a gran voce di staccare la spina a Formigoni. «Ma poi, con la spina in mano, che ci faccio?» avrebbe detto Maroni. E anche gli uomini a lui più vicini sono d’accordo: «Il rischio concreto era quella di trasformare la Lombardia in un nuovo Lazio, lì a galleggiare in un limbo di mesi assolutamente improduttivi mentre tutta la Regione ci chiede risposte. Al termine del quale persino il Pd avrebbe avuto ottime chance di vincere».
In realtà , il segretario leghista avrebbe voluto rompere la riserva soltanto sabato, al consiglio federale del partito che ha convocato d’urgenza. Un modo per tenere il governatore sulla corda e soprattutto per offrire ai militanti una decisione presa collegialmente dal suo massimo organo. Poi, appunto, i rischio di far apparire la posizione della Lega attendista è parso troppo grande. Inoltre, Umberto Bossi a chi gli domandava se Formigoni avrebbe dovuto lasciare, ha risposto lapidario: «Io non mi dimetterei». Cosa utile per mettere a tacere l’ala più oltranzista del movimento, che chiedeva lo strappo prima che il consiglio regionale, tra pochi giorni, maturasse il diritto al vitalizio.
Ma, appunto, l’idea è che il governatore sia all’ultimo giro di danza. Matteo Salvini, il segretario lombardo, lo dice chiaro: «Per quanto ci riguarda, non si arriva a fine mandato e si vota in primavera». Perché secondo Maroni per Formigoni sono scattati i cento giorni: quelli in cui si dovranno portare a casa risultati concreti e poi andare al voto. «Anzi — sottolinea Salvini — il consiglio federale potrebbe anche decidere di far saltare il tavolo».
Mentre Roberto Calderoli spiega che «Formigoni non deve dimettersi ora, ma è auspicabile che si dimetta in tempo utile per andare al rinnovo della Regione in contemporanea con le politiche». Poi, l’ex ministro scuote la testa: «Il presidente non si rende conto che gli stanno scavando la fossa intorno. Prendono altri, ma l’obiettivo finale è lui. Che cosa deve aspettare?». L’ex ministro padano fa anche notare che «una rilegittimazione popolare è necessaria: non dimentichiamo che i voti della ‘ndrangheta andati a Zambetti, sono anche voti del Pdl. Dovrebbe essere Formigoni stesso a rendersene conto». Calderoli conclude ricordando al governatore il valore della ramazza: «Quella sera a Bergamo in cui partirono le ramazze padane fu dolorosa. Ma è da quella che noi siamo rinati: la pulizia è necessaria».
Il consiglio federale potrebbe presentare al governatore una proposta abbastanza articolata. Chiedendo una puntuale agenda su parecchi punti. La riforma della legge elettorale con la cancellazione della lista bloccata è l’obiettivo più facile, visto che anche il governatore è d’accordo. Ma i leghisti, mai entusiasti dei sistemi con le preferenze, vorrebbero far saltare anche quelle in Regione: «Il caso Zambetti ha chiarito a tutti che non sono la medicina della democrazia», dice un dirigente. Ma la cosa che il movimento sottolinea maggiormente è che Formigoni ha esplicitamente parlato del suo futuro impegno per la costituzione della Euroregione del Nord, la nuova Terra promessa dei leghisti: «Per noi — spiega un deputato — è come avere il terzo presidente» dopo Piemonte e Veneto. Sempre che Formigoni interpreti l’Euroregione alla stessa maniera dei leghisti.
Marco Cremonesi


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