Niente carcere per diffamazione Maxi-multe e stretta su libri e siti

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ROMA — Niente più carcere. In cambio, multe salatissime, fino a 100 mila euro. Il disegno di legge sulla diffamazione ha lasciato la commissione Giustizia e approda oggi in aula, dove sarà  votato entro domani. Gli oltre cento emendamenti hanno trovato una forma in un testo sul quale c’è un’intesa di massima. Ma sono molti i mugugni tra i partiti — dal Pd all’Idv all’Udc — tanto che oggi si annunciano diversi interventi: sparita la norma «anti Gabanelli», restano, tra gli altri, i nodi della pena massima e dell’estensione dell’obbligo di rettifica ai siti Internet e persino ai libri. Un testo che preoccupa la Fnsi. Al presidio di ieri, il presidente Roberto Natale ha attaccato: «Questo provvedimento è punitivo e sarà  letale per l’informazione scomoda. Hanno abolito un emendamento, ma è tutta la legge a essere anti Gabanelli, nel momento in cui va a colpire i giornalisti che fanno il proprio lavoro. Se non cambia, è meglio tenerci la legge che c’è, carcere compreso».
In caso di diffamazione a mezzo stampa, con l’attribuzione di un fatto determinato, si applicherà  una pena da 5 mila a 100 mila euro, «tenuto conto della gravità  dell’offesa e della diffusione dello stampato». Respinto per un voto l’emendamento che voleva dimezzare il tetto massimo. In caso di recidiva specifica, commessa nei due anni precedenti, la pena può raddoppiare. La pubblicazione della rettifica vale come attenuante, il rifiuto come aggravante. Si introduce l’obbligo di rettifica senza commento e per intero, come anche la pubblicazione per esteso delle (spesso chilometriche) sentenze di condanna. Tra le sanzioni, il blocco dei contributi dell’editoria.
C’è poi il capitolo sull’interdizione dalla professione. È una pena accessoria che interrompe l’attività  del giornalista per un periodo da uno a sei mesi o in caso di reiterazione da sei mesi a un anno e da uno a tre anni. Poi c’è la norma che riguarda i cosiddetti dossieraggi o la «macchina del fango»: nel caso in cui il fatto sia commesso dall’autore, dal direttore o vice, dal proprietario o editore, o da almeno tre di loro, la pena è aumentata fino alla metà . Oltre alla pena della multa, la persona offesa potrà  chiedere un risarcimento dei danni, per non meno di 30 mila euro.
Norme controverse, che trovano qualche mal di pancia nei partiti del centrosinistra. Nel Pd Vincenzo Vita annuncia: «Ripresenterò i miei emendamenti che riducono la pena a un massimo di 30 mila euro, cancellano l’interdizione e la ridicola pretesa di intervenire sulla rete». Tra le anomalie, la cancellazione di contenuti dal web, difficile, considerato che spesso vengono condivisi da centinaia di siti. Il Pd non sembra avere una linea comune. Silvia Della Monica lo reputa un testo «assolutamente equilibrato». La presidente dei senatori, Anna Finocchiaro, intervenendo al presidio Fnsi, spiega: «Premesso che non ho parlato con i colleghi di gruppo e parlo a titolo personale, penso che questo testo vada corretto». Tra i punti da correggere, «le pene troppo alte, la sospensione automatica dall’attività  professionale che va invece commisurata alla gravità  del fatto e la restituzione dei fondi per l’editoria».
L’Idv, con Luigi Li Gotti, concentra le critiche soprattutto sul «bavaglio al web». Mentre l’Udc, con Roberto Rao, contesta «le molte storture»: «La centralità  della rettifica è un principio giusto ma le condizioni per richiederla sono troppo ampie e troppo stringenti le forme con cui dovrà  essere effettuata». Rao chiede di rivedere anche la pena massima, e «correggere la norma sulla diffamazione nei libri». Protestano anche il Popolo Viola e Articolo 21.
Cè anche un piccolo giallo su un emendamento, che prevederebbe la possibilità  di esigere il «diritto all’oblio» anche da parte dei conviventi della persona diffamata e deceduta. Il senatore del Pdl Giuseppe Valentino, trasecola: «Che c’entrano le coppie di fatto? Dev’essere un refuso, un errore di battitura, che sarà  corretto».


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