OBAMA BLUES

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È vero che sulla ripresa pesa la martellante azione della Federal Reserve e del suo presidente, Ben Bernanke, che non a caso nell’ambiente è chiamato «l’elicotterista», perché disse che in crisi come questa l’unica azione che le Banche centrali possono compiere è quella di gettare denaro dall’elicottero: qualcuno lo raccoglierà  e lo spenderà  per far ripartire l’economia.
In questi mesi Bernanke si è schierato apertamente con Barack Obama (e contro i suoi interlocutori di Wall street) inondando letteralmente di dollari l’economia mondiale.
Ma non c’è dubbio che rispetto all’austera e punitiva Europa, gli Stati uniti di Obama e di Bernanke sembrano cavarsela alla grande, anche grazie all’inesauribile capacità  di stampare moneta senza svalutare il dollaro.
Al contrario, in politica ognuno dei due campi sembra deluso dal proprio candidato, Come ha scritto una commentatrice: la cotta degli americani per Obama è finita da tempo, mentre quella per Romney non è mai cominciata: dell’uno si sono disamorati, dell’altro non riescono a innamorarsi per quanti sforzi facciano.
Ciò non toglie che la prospettiva di quattro o addirittura otto anni di strapotere repubblicano è terrorizzante, perché anche nella prossima legislatura controlleranno con ogni probabilità  la Camera dei rappresentanti (vedi l’articolo sopra), ma soprattutto perché dal 2000 il Grand Old Party fa rotta a tutta forza verso l’estrema destra. La sua strategia è sempre più «bianca», perché è sempre più anti-minoranze e anti-stato sociale: le minoranze sono i gruppi della società  che più usufruiscono del welfare. Ecco perché è chiamata anche «strategia sudista»: voler pagare sempre meno tasse vuol dire rifiutare di finanziare scuole pubbliche, ospedali pubblici e case popolari per neri e ispanici.
Persino il portavoce del capitalismo internazionale, il settimanale The Economist, appoggia Obama «perché almeno è il diavolo che conosciamo», mentre la strategia economica di Romney è praticabile solo se non fa tutto quello che ha detto nella campagna elettorale.
È vero: Obama ha mantenuto pochissime promesse, ha ceduto in quasi tutto ai repubblicani, è riuscito a non parlare di riscaldamento climatico neanche dopo Sandy: non per nulla ha nascosto pudicamente sotto il tappeto lo slogan «Yes we can». Ma è sempre meglio della prospettiva di un Bush riscaldato, di nuovi favori ai ricchi, nuove guerre e nuove corse al riarmo, smantellamento di quel che resta dello stato sociale Usa. Domani sapremo.


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