Anche in Germania chiude l’auto

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La cancelliera tedesca Angela Merkel non perde occasione per esaltare i successi in campo economico del governo democristiano-liberale che presiede, a suo dire «il migliore dagli anni della riunificazione». Dal mondo dell’industria, però, giungono notizie che purtroppo smentiscono l’immagine idillica della propaganda. Lunedì la direzione della Opel – marchio del gruppo americano General Motors – ha annunciato che dal 2016 lo storico stabilimento di Bochum (nel Land della Renania settentrionale-Westfalia) smetterà  di produrre automobili.
«Drammatico calo della domanda nel mercato europeo di fronte a un eccesso di capacità  produttiva dell’impresa»: queste le ragioni in stile-Marchionne addotte dal numero uno dell’azienda tedesca, Thomas Sedran, per giustificare la scelta. Per indorare la pillola, all’annuncio della fine delle attività  produttive di un impianto inaugurato cinquant’anni fa è seguita la promessa che a Bochum rimarrà  in funzione un centro logistico, assicurando così l’impiego a qualche centinaio di persone. Ma a perdere il lavoro saranno sicuramente tremila operai e impiegati, con effetti sull’occupazione anche nell’indotto e nei servizi: le stime più prudenti parlano di 10 mila posti a rischio. Un duro colpo per la zona di Bochum, la Ruhr, una delle aree più depresse nella pur ricca Germania.
C’è naturalmente rabbia e sconcerto tra i lavoratori, indisponibili ad accettare una decisione così grave e unilaterale. «Vogliamo continuare a produrre auto a Bochum anche dopo il 2016»: questa è la parola d’ordine dei delegati sindacali, che lunedì non escludevano scioperi senza preavviso nei prossimi giorni. «La situazione attuale è frutto di una serie decennale di errori da parte del management», denuncia Wolfgang Schà¤fer-Klug, rappresentante del consiglio generale di fabbrica (Gesamtbetriebsrat) dell’intero gruppo Opel, che pone l’accento sulla mancanza di continuità  nella direzione: negli ultimi 14 anni si sono succeduti ben 7 diversi amministratori delegati.
I problemi per l’impresa risalgono all’inizio degli anni Novanta, quando il marchio Opel cominciò a perdere terreno di fronte rispetto al principale concorrente Volkswagen, vedendo ridurre progressivamente il numero degli occupati in Germania: dagli oltre 57 mila del 1990 agli attuali 22 mila. Una crisi che si riflette in maniera emblematica nella quota di immatricolazioni: nel 1989 le vetture Opel erano il 16%, mentre ora raggiungono solo l’8%. Un calo costante e apparentemente inesorabile.
Per il sindacato metalmeccanico unitario Ig-Metall, «la chiusura dello stabilimento di Bochum è inaccettabile». L’annuncio di lunedì è considerato dal segretario generale Berthold Huber «una dichiarazione di guerra» alla quale il sindacato intende rispondere con la lotta. «L’impresa deve tornare sulla propria decisione e annunciare un credibile piano di investimenti che assicurino il mantenimento di tutti i posti di lavoro nel Paese», sostiene Huber. La preoccupazione dei rappresentanti dei lavoratori è che la chiusura del sito di Bochum sia semplicemente il preludio di un completo disimpegno dell’impresa-madre General Motors nella Repubblica federale tedesca, dove sono ancora attivi altri 4 stabilimenti, il più grande dei quali a Rà¼sselsheim, nel Land dell’Assia, con oltre 12 mila occupati.
Critiche alla direzione americana di General Motors sono arrivate da più parti del mondo politico. Contro i licenziamenti si è espresso il candidato cancelliere del partito socialdemocratico, Peer Steinbrà¼ck, e i socialisti della Linke hanno chiesto l’intervento del governo di Angela Merkel. La cancelliera per ora tace, mentre si è fatto sentire il liberale Philipp Rà¶sler, vicecancelliere e ministro dell’industria: «E’ stato un errore che General Motors abbia scelto di non puntare sul mercato cinese per le auto con il marchio Opel». «Ora mi aspetto che l’impresa si assuma le proprie responsabilità  e contribuisca a ridurre le conseguenze negative della fine della produzione a Bochum», ha aggiunto. Il ministro Rà¶sler, però, evidentemente non pensa di poter fare nulla per evitare la chiusura dell’impianto e la perdita dei posti di lavoro. Il liberismo – si sa – è una fede che non ammette deviazioni.


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