Grillo: via i ribelli, hanno rotto E la base si spacca sul blog

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E poi: «Abbiamo una battaglia, una guerra da qui alle elezioni. Finché la guerra me la fanno i giornali, le tv, i nemici veri va bene, ma guerre dentro non ne voglio più. Se c’è chi reputa che io non sia democratico, che Casaleggio si tenga i soldi, che io sia disonesto, prende e va fuori dalle palle. Se ne va dal Movimento».
Parole dure, che mandano in tilt i militanti. Il post di Grillo riceve in poche ore oltre 1.700 commenti. I 5 Stelle si dividono tra chi appoggia il leader e chi vede nelle sue parole un gesto da dittatore. Alcuni paragonano lo showman a Mussolini. C’è chi, come jac, scrive ironicamente: «Il Grillo è il nostro nuovo duce! Luce e gloria sulla sua figura di condottiero». C’è chi vede nel capo politico un atteggiamento «berlusconiano», chi cita la comicità  surreale di Maccio Capatonda. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, si lascia andare a un lapidario «fantastico». Sarcastico l’ex idv Massimo Donadi: «Bell’esempio di democrazia».
I fedelissimi di Grillo si schierano compatti con lui. «Condivido pienamente», dice il consigliere regionale piemontese Davide Bono. «Ci sta questa reazione: è sotto attacco tutti i giorni, in un momento in cui siamo in difficoltà  per raccogliere le firme». Sulla stessa lunghezza d’onda Stefano Ferrero, portavoce e candidato dei 5 Stelle in Val d’Aosta. «Ci voleva un intervento maschio, avrebbe dovuto farlo un mese fa. Creare spaccature in un momento di difficoltà  a me puzza di sabotatori. Non è questione di democrazia, ma di rispetto per il lavoro dei gruppi sul territorio». Il candidato valdostano poi, però, abbozza e sostiene che alcuni dissidenti abbiano «peccato d’ingenuità ». D’accordo su toni e modi anche Vito Crimi, candidato al Senato in Lombardia, che ipotizza: «Ci sarà  un fisiologico abbandono di qualche militante: quelli che si lamentano fanno sempre più rumore». Poi, analizza: «Non credo che Beppe si rivolgesse solo gruppo di ribelli storico dell’Emilia-Romagna: è una questione più generale».
Anche Giovanni Favia, che nel fuorionda di Piazza Pulita aveva lamentato per primo una mancanza di democrazia interna al movimento, prende posizione su Facebook: «Il movimento nasce per autogovernarsi, dal basso, senza “capibastone”, cittadini che rappresentano altri cittadini. Chi non condivide questi pochi e semplici principi, può andare altrove». Poi argomenta: «La biodiversità  di pensiero produce ottimi risultati, anche se il confronto costa fatica. La chiusura su se stessi funziona nel breve periodo, ma alla lunga genera mostri». Più duro Valentino Tavolazzi: «Nel M5S la democrazia non è un optional. E non è negoziabile come contropartita del risultato elettorale». Intanto, Ivano Mazzacurati, l’escluso querelato da Gianroberto Casaleggio, dichiara a Servizio Pubblico: «Dopo la querela non so se voterò Grillo: se deve fare, come Berlusconi, il suo partito, allora no».


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C’È QUALCOSA nello scontro che sta dilaniando il Partito democratico che va ben oltre la battaglia per imporre una linea o una scelta. La verità  è che nel duello tra Pierluigi Bersani e Matteo Renzi è in gioco anche – e soprattutto – il destino dei due contendenti. Quel che entrambi faranno da grandi. Perché dopo le elezioni della “non-vittoria” si è riaperta di fatto la corsa a Palazzo Chigi.

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