I sondaggisti: Pd-Sel crescono, Grillo perde punti

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ROMA — Navigano a vista i sondaggisti e i ricercatori di flussi elettorali che, a due mesi dalle elezioni, «danno i numeri» solo con il contagocce. Nel Mare magnum dell’offerta politica la nebbia è fitta. Però negli istituti di ricerca alcuni punti fermi iniziano a delinearsi e il più esplicito, nel senso che azzarda più degli altri, è Paolo Natale di Ipsos (l’istituto di Nando Pagnoncelli): si restringe notevolmente l’area del non voto e dell’indecisione che passerebbe dal 40-42% al 30-35%; si consolida l’asse Pd-Sel che viaggia sul 35-40% e oltre ma poi potrebbe non avere la maggioranza al Senato; arranca il Pdl che, pur recuperando, raggiunge quota 16-17% puntando forse al 25%; arretra «con continuità » il Movimento 5 Stelle che, già  prima dell’espulsione di Federica Salsi e di Francesco Favia, aveva perso altri 3 punti assestandosi a quota 16-17%.
Eppure, in questo quadro mancano ancora due tasselli fondamentali. Il primo: il professor Mario Monti ci metterà  la faccia, o quantomeno consentirà  che il suo nome venga stampato sul simbolo di un partito dei moderati che ancora non c’è? Il secondo: Silvio Berlusconi sarà  il candidato premier del Pdl oppure coordinerà  le operazioni elettorali (con o senza «spacchettamento» del partito) dalla seconda linea? E ancora: il secondo tassello dipende dal primo?
«In altre parole, è ancora troppo presto per disegnare scenari», si schermisce Alessandra Ghisleri (Euromedia Research), una delle voci fidate ascoltate dal Cavaliere, che sta lavorando su tre flussi elettorali di ritorno verso il Pdl: «Il voto dei moderati, il non voto, e gli elettori di centrodestra consapevolmente indecisi». E il peso di Berlusconi, quanto vale? «Di sicuro, chi ha fondato Forza Italia e rifondato il Pdl resta un punto di riferimento per gli elettori di centrodestra». Il brand del Cavaliere è difficilmente separabile dalla sua creatura. Per quanto riguarda l’area dell’ex Msi, da La Russa a Storace, un distacco peserebbe il 6-7%.
Ma l’incognita con la maiuscola è quella rappresentata da Monti che — alla guida di un partito dei moderati condotto sul campo da Casini, Fini e Montezemolo — sarebbe accreditato anche al 15 e il 20 %, nelle previsioni di Renato Mannheimer. Ma Nicola Piepoli — il «decano dei veggenti politici», secondo la definizione poco amichevole del blog di Beppe Grillo — sottolinea un dato aritmetico incontestabile: «Una eventuale discesa in campo del professor Monti toglierebbe prestigio allo stesso Monti. Chi glielo fa fare, dunque? Il presidente del Consiglio già  oggi ha il 51% dei consensi tra gli italiani mentre Bersani e Berlusconi si fermano, ciascuno, al 25%. Perché, allora dovrebbe, candidarsi per ottenere 50 deputati?».
Il sondaggista Francesco Bocconi osserva infine che «in questo clima umorale i cambiamenti possono essere anche molto rapidi». Ma poi è Piepoli che si spinge più avanti degli altri: «Il dato è che il centrosinistra ha già  vinto anche se ci sono le incognite per il risultato del Senato dove la differenza la faranno la Lombardia, il Veneto, il Lazio e la Sicilia. Se non vince anche al Senato, Bersani dovrà  trattare con il centro per andare a Palazzo Chigi ma i ministri certamente li sceglierà  lui». E poi, conclude Piepoli, «con le sue primarie, il Pd ha generato una mutazione genetica del quadro politico. Riconciliando in parte l’elettorato con i partiti».


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