Il laboratorio di Bersani

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Un diritto ormai da anni sequestrato dalle segreterie dei partiti, grazie alla vergognosa barricata eretta dalla destra intorno al Porcellum. La più intelligente, perché segnala a tutti gli elettori, non soltanto al popolo di sinistra, qual è oggi l’unica parte interessata a riformare la politica, nei fatti e non nei proclami.
Se tutto sarà  concepito con la massima trasparenza, come vogliamo pensare, si tratterà  di una rivoluzione in potenza più esplosiva delle primarie per la guida del centrosinistra appena celebrate. In pratica, il 29 e 30 dicembre si decreterà  la vera fine della seconda repubblica e del modello che l’ha contraddistinta, il partito padronale. Inventato a suo tempo da Bettino Craxi sulle ceneri della tradizione socialista, perfezionato e incarnato da Silvio Berlusconi per un ventennio, imitato poi a destra e a sinistra, il partito padronale è stato la principale causa del livello di corruzione, trasformismo, incompetenza e discredito interno e internazionale cui è giunta la politica italiana, inedito finanche per il paese delle eterne tangentopoli. Il padrone, alla fine, si sceglie sempre una corte di servi. E i servi alla lunga o sono sciocchi o sono traditori o sono ladri. Oppure tutte e tre le cose insieme, come testimoniano molti degli scandali della seconda repubblica. La selezione del personale politico funziona inevitabilmente al peggio. I competenti, gli onesti, le persone coerenti e quindi anche capaci di dissenso, dignità  e critica, sono sistematicamente fatti fuori dai cortigiani. È accaduto negli anni all’azienda-partito di Berlusconi, con l’aggravante del conflitto d’interessi del principale. Ma il meccanismo si è ripetuto in tutti gli altri partiti padronali, dalla Lega Nord di Umberto Bossi all’Idv di Antonio Di Pietro. Con storie di ruberie e tradimenti fra il losco e il grottesco, che ricordano l’immortale satira di Johnatan Swift, Istruzioni per la servitù.
Una lettura da consigliare all’ultimo Beppe Grillo, passato in un attimo dalla grande comicità  all’umorismo involontario del «chi dice che non sono democratico se ne va fuori dalle palle».
Non per caso, la struttura del partito governato da un “caudillo” con diritti assoluti sui seguaci è sconosciuto nelle democrazie classiche, ma tipico di finte democrazie del-l’Est europeo, del Sudamerica e dell’Africa. Con la decisione del Pd e di Sel non soltanto si riporta il nostro sistema nell’alveo occidentale, ma si traccia una via d’uscita per la crisi delle democrazie europee. Come del resto è già  successo per le primarie chiamate a eleggere il candidato premier. A condizione naturalmente che si tratti di un voto vero, aperto, pulito. Primarie vere, svolte nel territorio, con i cittadini. Non giochini di apparato e tantomeno trucchi virtuali spacciati per democrazia online e in realtà  facilmente manipolabili da chi detiene il marchio di fabbrica, come le recenti “parlamentarie” del Movimento 5 Stelle, una nuova pagliacciata della quale la lunga tradizione della nostra politica in questa materia non aveva sinceramente bisogno.
Sarebbe un’ottima cosa per la famosa immagine dell’Italia nel mondo, e perfino per l’altrettanto celebre spread, se il nostro paese, dopo essere stato per due decenni il teatrino di pupi che è stato, tornasse a essere come in epoche più gloriose, un vero e interessante laboratorio politico.


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