La grande muraglia sulla Rete

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L’acronimo ha il sapore dell’antico, ma l’incontro che ha organizzato a Dubai affronta un tema contemporaneo, le regole di funzionamento di Internet. Da due giorni oltre 2000 persone, rappresentanti i paesi membri delle Nazioni unite, le maggiori imprese di telecomunicazioni e informatiche e le sempre citate organizzazioni non governative, sono state chiamate a discutere di come «innovare» il trattato delle telecomunicazioni mondiali a partire dalla centralità  della Rete nella comunicazione globale. Al di là  della retorica istituzionale, in ballo c’è il futuro della Rete. Alcuni paventano il rischio di una balcanizzazione della Rete, con il ritorno in grande stile degli stati nazionali nel controllare e la possibilità  di censurare quanto «viaggia» nel web, come avviene già  adesso in Cina, Iran. Finora, tuttavia la censura interveniva su base tecnica. All’incontro di Dubai, c’è la possibilità  che tale potere di censura sia sancito politicamente..
L’organismo che ha organizzato il meeting è l’International Telecommunications Union (Itu), costola dell’Onu, come d’altronde lo sono l’Unesco e la Wipo (l’organizzazione sulla proprietà  intellettuale), per quanto riguarda appunto le telecomunicazione. Costituitosi negli anni successivi la diffusione del telegrafo, l’Itu è diventato parte integrante dell’Onu nel 1947. Nel corso degli anni ha definito i trattati vincolanti per tutti i paesi che fanno parte delle Nazioni Unite. L’ultima volta che si è riunito è stato nel 1988, registrando la fine della Guerra fredda e una maggiore flessibilità  nella circolazione delle informazioni visto il progressivo sgretolamento della «cortina di ferro» – a un anno dall’incontro, il Muro di Berlino cadde.
Anni in cui la Rete era usata da poche università  e da qualche «smanettone». Un medium marginale, che interessava un numero limitato di ricercatori e imprese e che poteva essere ignorata dall’Onu. La situazione è radicalmente mutata. Oggi Internet è sinonimo di comunicazione, alla luce anche della convergenza tra telecomunicazioni e informatica. Si è cioè «connessi» usando, oltre il computer, anche telefoni cellulari e tablet. L’Onu, tuttavia, sostiene che occorre superare il «digital divide» tra paesi ricchi e paese emergenti, tra ricchi e poveri, consentendo a quasi 5 miliardi di uomini e donne di esercitare quel diritto universale che è l’accesso alla Rete. È questo l’obiettivo, ha sostenuto Hamadoun Toure, segretario dell’International Telecommunications Union, dell’incontro nella città  degli Emirati Arabi. Fin qui tutto bene, L’Onu ha già  organizzato altri meeting per sollecitare i governi nazionali a promuovere l’accesso alla Rete. L’incontro di Dubai ha però sollevato grandi polemiche, rimaste tuttavia limitate a una cerchia ristretta di addetti ai lavori, dopo che due ricercatori della George Mason University hanno hanno aperto un sito – WCITleaks.org – dove hanno pubblicato alcuni documenti riservati che hanno dato il via alle polemiche. In alcuni testi – della Cina, della Russia e dell’Iran – veniva scritto che è compito dei governi nazionali controllare le informazioni che circolano nei loro paesi. Compito della conferenza di Dubai è di stabilire, nero su bianco, il diritto di alcuni paesi di «inibire» la circolazione di informazioni che mettono in pericolo la sicurezza nazionale.
Di questo rischio ha scritto Vinton Cerf, considerato uno dei padri della rete – ha sviluppato il protocollo di comunicazione Tcp/Ip -, che in un articolo apparso sul «New York Times» ha invitato a mobilitarsi contro quei governi che vogliono mettere «le mani sulla Rete». L’ «evangelista di Internet» Vinton Cerf siede però nel consiglio di amministrazione di Google, impresa spesso indicata come un nemico della libertà  di espressione nel web. La sua presa di posizione ha comunque introdotto un altro nodo che rischia di far fallire la conferenza di Dubai. Il riferimento è sui modelli di business che potrebbero emergere negli emirati arabi, ridando slancio a un settore -l’high-tech – che non sta più funzionando come la locomotiva dell’economia globale.
I papers pubblicati non sono stati mai smentiti, provocando la reazione dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, che si sono schierati a favore della libertà  di espressione in Rete e contro ogni ipotesi di ingerenza statale nella comunicazione on-line.
Altro problema che si è imposto nel corso della preparazione dell’incontro a Dubai è lo scontro tra le imprese delle telecomunicazioni e le imprese della rete. I giganti delle telecomunicazioni chiedono a gran voce che venga introdotto la regola del sender pays, cioè la possibilità  di poter imporre a chi genera tanto traffico sulla rete il pagamento della banda occupata. Le imprese delle telecomunicazioni sostengono che Google, YouTube, Facebook, Twitter dovrebbero pagare in base al volume di traffico che producono in Rete. In questo caso, il conflitto è tra settori economici distinti.
Sta di fatto che il meeting di Dubai ha riportato al centro della scena la «governance» della Rete. L’equilibrio finora raggiunto tra Icann, World Wide Web Consortium e Wipo ha garantito la «neutralità  della Rete», cioè regole che servono a garantire l’accesso su base paritaria. Un equilibrio instabile, in continuo divenire, che è però rimesso in discussione proprio da chi chiede di potere esercitare un controllo sulla Rete. Peccato che da Dubai le informazioni che arrivano sono scarne e limitate. Eppure la posta in palio è alta: o la Rete sarà  balcanizzata o continuerà  a rimanere un ambiente aperto e non normalizzato.


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