Sallusti libero, Napolitano commuta la pena

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ROMA – Il capo dello Stato commuta la condanna di Alessandro Sallusti da 14 mesi di detenzione a una pena pecuniaria di 15 mila e 532 euro. Il giornalista era stato condannato per un articolo giudicato diffamatorio nei confronti del giudice tutelare di Torino, Giuseppe Cocilovo, pubblicato quando era direttore di Libero.
«Emozionato», ora canta vittoria.
«Non tutto è stato inutile — dice il direttore del Giornale,
subito recatosi in redazione a salutare i colleghi — perché il Quirinale ha fissato un punto di non ritorno dando alla magistratura e al prossimo governo un preciso indirizzo politico». «Che qualcuno al massimo livello possibile mettesse agli atti di questa vicenda che c’è qualcosa nella normativa che non funziona era esattamente ciò che volevo fare emergere».
Il presidente della Repubblica, si legge in una nota del Quirinale, trasformando la detenzione in una “multa”, «ha inteso ovviare a una contingente situazione di evidente delicatezza, anche nell’intento di sollecitare, nelle istituzioni e nella società , una riflessione sull’esigenza di pervenire a una disciplina più equilibrata ed efficace dei reati di diffamazione a mezzo stampa». Il direttore del Giornale, libero da ieri sera alle 19,55, riprenderà  oggi a lavorare.
Dopo aver chiesto di essere incarcerato rifiutando la possibilità  di usufruire delle misure alternative. Dopo essere evaso dagli arresti domiciliari presso l’abitazione di Daniela Santanchè per ottenere lo stesso fine. Insomma, dopo averle inutilmente provate tutte per farsi trasferire in una prigione, alla fine Ignazio La Russa, suo legale in un procedimento connesso, ha deciso — contro la volontà  di Sallusti — di presentare domanda di grazia al Quirinale. Contro la grazia, tuttavia, s’era espressa, con un parere obbligatorio, ma non vincolante, la procura generale di Milano. A favore della commutazione della pena, il ministro della Giustizia e il tribunale di Sorveglianza.
«Ringrazio il Presidente», dichiara Sallusti, subito dopo la scarcerazione. «Tutto quel che è successo — aggiunge — non è stato simpatico, la privazione della libertà , seppur ai domiciliari, è una violenza anche per uno come me che può sembrare un “duro”». Quindi, precisa quale fosse il suo intento: «Io speravo in qualcosa di diverso, che il Parlamento di fronte a un caso del genere risolvesse la questione di questa legge assurda». «Però — sottolinea — non tutto è stato inutile perché nelle motivazioni del provvedimento, Napolitano ha detto chiaro che la legge non va bene». Ma perché, nonostante fosse contrario, ha accettato la decisione del Quirinale? «Non si tratta di una furbata — spiega — ero contrario a invocare la clemenza del Presidente proprio per coerenza con tutto quel che ho detto e fatto». «Non è stata neppure una clemenza ad personam, ma la presa d’atto di una disfunzione del sistema. Se poi ciò coincide col fatto che torno libero, tanto di guadagnato. È chiaro che ho cercato di fare di tutto per andare in prigione per sollevare il caso».


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